ALESSANDRA MELDOLESI *
Cronaca

Salama, cappellacci e coppia . A spasso nella Ferrara del gusto

Attraverso il cibo, la città estense ha conservato le vestigia di un passato aulico, custodito nei secoli.

Salama, cappellacci e coppia . A spasso nella Ferrara del gusto

Salama, cappellacci e coppia . A spasso nella Ferrara del gusto

Esistono luoghi dove una forchetta apre la serratura del tempo e ci porta a passeggio nei giardini della storia. Ferrara, città che conserva le vestigia di un passato aulico e che nei secoli ha custodito con cura la sua alterità, anche attraverso il cibo. Sappiamo che qui Alfonso I d’Este e la famigerata Lucrezia Borgia affidavano i loro sontuosi banchetti al più grande cuoco dell’epoca: Cristoforo Messisbugo, il quale da parte sua stipendiava nientemeno che Ludovico Ariosto e Angelo Beolco detto il Ruzante per i suoi intermezzi teatrali. Ma la città era già predestinata dall’idrografia: collegata alla vicina Venezia dal Po, prossima a sbocciare nell’Adriatico attraverso il suo Delta, era al centro di un reticolo di traffici culturali e grandi materie prime, giunte quasi intatte fino a noi, fra terra e acqua, ricchezza e povertà. Tanto che perfino il grande storico Fernand Braudel, confrontato alla magnificenza di un pasticcio approntato dalla zia di Folco Quilici, non poté che esultare: "Questo è un inno all’Europa e ai suoi misteriosi, ma sempre magici incroci, mescolamenti, influenze; alla sua capacità di sommare influenze diverse per creare qualcosa di sempre più raffinato. Un ‘pasticcio ferrarese’ è qualcosa che vale più di un capitolo di storia fitto di nomi e di date".

Poi ci sono state altre mitologie: il Trigabolo di Argenta, cenacolo animato da Giacinto Rossetti e Igles Corelli, Bruno Barbieri e Marcello Leoni, Italo Bassi, Mauro Gualandi e Pierluigi Di Diego (che poi per qualche lustro ha tenuto alta la bandiera estense con il suo don Giovanni, dentro il Castello, in compagnia di un fuoriclasse del vino come Marco Merighi). "Erano i Beatles della cucina", titolava il Gambero Rosso su un’insegna che negli anni ’80 ha rivoluzionato la cucina italiana. La meraviglia è che tutto questo si può vivere ancora. Chi vuole provare il pasticcio di Braudel, scrigno di pasta frolla semidolce con un ripieno di rigaglie e porcini secchi, animelle di vitello e tartufo nero, maccheroni, crema pasticciera e besciamella, non ha che da visitare la bottega di Pierluigi Di Diego, chiamata Manifattura Alimentare, dove troverà anche ottimi cappellacci. Se vuole sedersi a tavola, c’è il Sorpasso di Saro Mantarro, che mantiene una carta della tradizione. La salama da sugo si compra da Rizzieri, uno dei migliori macellai e norcini d’Italia, in quel di Focomorto, dove ha sede il ristorante in cui cucina alla brace e non i suoi tagli migliori, forte di una cultura gastronomica assorbita rifornendo star chef. Il migliore storione alla ferrarese, altro piatto iconico, risalente ai tempi in cui i grandi pesci d’argento solcavano il Po, si mangia invece fuori zona a Fagnano Olona da Silvio Salmoiraghi, che ne ha fatto un capolavoro. E poi la ciupeta, il pane tante volte ritratto da De Chirico, che arrivò nella ‘città pentagona’ durante la prima guerra mondiale e dalle sue geometrie fu stregato: per lui quell’incrocio rimandava alla grande X di Nietzsche, simbolo dell’essenza enigmatica del mondo; oggi si compra all’Officina Integrale o in centro, presso un’istituzione di nome Perdonati’. Certo a quei tempi Ferrara era avanguardia, ma è tuttora underground: basta sedersi per un cocktail da Apelle o accomodarsi da quei bravi ragazzi di Makorè.

* giornalista, sommelier

e food writer