MARIO BOVENZI
Cronaca

Si è spento l’ultimo tombarolo: "Ci sarà un paese a dirgli addio"

Giovanni Nordi, pescatore di Comacchio, muore lasciando un vuoto nella storia locale. Ricordato con affetto dai familiari e dal paese, era noto per la sua passione per il mare e per il tombarolo. La sua vita racconta la fame e la speranza di una comunità legata alla pesca e alla storia antica della zona.

Si è spento l’ultimo tombarolo: "Ci sarà un paese a dirgli addio"

Si è spento l’ultimo tombarolo: "Ci sarà un paese a dirgli addio"

"Con lui se ne va una parte della storia di Comacchio, mio nonno questa storia incarnava. Era lui stesso una testimonianza, un reperto". Come quelli che raccoglieva, quando la notte tornava a prendersi le valli, le sue valli. Giovanni Nordi, 88 anni, ha lasciato quel mare e canali, sabbia e reti nel silenzio che trascina dietro di se la risacca. Lui che era stato fiocinino, poi tombarolo incantato da quelle figure che si intrecciavano, dai vasi che venivano alla luce. Era la storia di Spina, un po’ le radici di una terra. A ricordarlo, a poche ore dalla morte dopo essere stato ricoverato in ospedale a Valle Oppio, è Alessandro Ferroni, anche lui lavora nel mondo della pesca. "Vendo pesce", dice, l’affetto per il nonno, quasi una devozione in ogni parola. "Era un uomo buono, tutti lo amavano", aggiunge lui che è il più anziano di dieci nipoti.

Cinque figli aveva Giovanni Nordi, che tutti agli angoli di strada dove si fermava a raccontare, chiamavano più semplicemente Giovannino quasi a volergli dare una carezza. Cinque figli, dieci nipoti, anche i pronipoti – era ormai bisnonno – che saranno oggi alle 15 nel duomo di Comacchio. "Ci sarà a salutarlo tutto il paese", sottolinea con orgoglio Alessandro. "Lui era fiocinino e tombarolo, andava a prendere le anguille nelle valli, i cocci nelle tombe che venivano alla luce. Perché allora era così, allora c’era tanta fame e la nostra gente si ingegnava come poteva. E poi quei resti allora ma anche oggi da queste parti riteniamo facciano parte della nostra storia, siano un po’ del popolo di Comacchio, li sentiamo nostri", aggiunge. Con un ringraziamento, ai medici. E non solo. "A tutto il personale di Valle Oppio che l’ha seguito con tanto amore, con affetto. Fino all’ultimo istante della sua vita". E ci saranno anche loro oggi, un pomeriggio triste, nel duomo al suono delle campane. "Che male facevamo, il mare è di tutti", la parole di Giovannino in un’intervista rilasciata a questo giornale qualche tempo fa, parole, uno stile di vita. "Ho fatto il tombarolo – ripeteva ancora –, ci parlavo con quelle figure smaltate. Sembravano vere. E io scavavo di frodo, li portavo alla luce di una torcia e li vendevo in nero. I clienti, i collezionisti mi cercavano. Quando hai qualcosa di bello, mi dicevano, avvertici". E lui li avvertiva, quei vasi che sembravano contenere un po’ un mistero. Solo nel 1922, in modo del tutto casuale durante le opere di bonifica delle valli, comparvero terrecotte, bronzi, piatti, anfore e cocci in quella distesa senza fine del Delta. Migliaia erano le tombe di una civiltà sepolta dal fango. Nel 1922 se un’anguilla era la sopravvivenza quelle anfore avevano il luccichio della speranza in una vita migliore. "C’era della fame, il popolo di Comacchio aveva fame – ripete il nipote –. E’ stato l’arrivo delle vongole, la pesca a segnare la fine di quell’attività, di quello che era considerato un mestiere. Adesso, ne sono sicuro, Giovannino va ancora a pesca, nel silenzio rotto solo dall’onda che si infrange contro la barca, va ancora a pesca lassù. E ci guarda, una persona fantastica, con il suo bel sorriso".