A scuola nelle botteghe. I maestri artigiani insegnano il mestiere ai giovani disoccupati

Dal tessile all’oreficeria: entra nel vivo il progetto finanziato dalla Regione. La restauratrice Alessandra Bellucci: "Oggi la formazione è solo teorica,. serve un ritorno all’apprendimento come quello dei nostri genitori e nonni".

di Martina Di Marco

Maestra artigiana e titolare di una Bottega Scuola, la restauratrice maceratese Alessandra Bellucci è parte integrante del progetto che permette ai giovani disoccupati under 36 di imparare il mestiere in bottega. Tramandando le conoscenze con passione e sentimento, e ricordando il ruolo essenziale che creatività e lavoro manuale ricoprono nel nostro Paese, racconta la sua esperienza come restauratrice e la volontà di connessione con le nuove generazioni.

Bellucci, perché pensa sia importante sposare progetti come questo?

"È necessario un ritorno alla bottega per poter imparare un mestiere, soprattutto perché la formazione che lo Stato richiede e offre è solo teorica. Come nazione, siamo caratterizzati da una spiccata creatività e capacità di lavorare con le mani creando cose stupefacenti: è un ritorno all’apprendimento che i nostri genitori e nonni hanno vissuto".

Qual è il livello di interesse dimostrato dai ragazzi?

"Non ho aderito da molto a questa modalità di insegnamento e accoglienza, quindi posso dire poco. Sono convinta, però, che i giovani abbiano voglia di sperimentare e di imparare. È solo a noi più vecchi che fa comodo considerarli nullafacenti, mammoni o legati al mondo futile di internet. Il problema risiede forse nelle modalità di apprendimento odierne".

A quali modalità fa riferimento?

"Negli ultimi anni ho notato quanto sia necessario essere sempre formati, cioè seguire corsi che rilascino attestati a dimostrazione delle competenze acquisite. Basterebbe richiedere qualche attestato in meno e far valere di più la capacità di produrre. È la capacità di creare che si tramanda, e con questa l’arte stessa: l’intelligenza dell’uomo non risiede solo nel cervello e nei suoi pensieri astratti, ma anche nel lavoro manuale che permette di trasformarli in concreti".

Che cosa muove la sua volontà di connessione con le nuove generazioni?

"Nell’ambito del restauro so di essere capace di fare qualcosa che ho imparato a mia volta, e tramandare questo sapere è per me la cosa più logica. Un altro aspetto mi muove emotivamente: mi piacerebbe portare più donne a bottega. Questo non perché ho qualcosa da pretendere o da voler riscattare, ma perché mi piacerebbe che ci fossero più donne impegnate in tutti i settori, anche quelli tradizionalmente votati ai maschi".

Come restauratrice, di cosa si occupa principalmente?

"Restauro dipinti su vari supporti, dalle tele alle tavole, alle cornici, porte e mobili. Spesso mi occupo di soffitti decorati e affreschi, e di graffiti su muro".

Come si è avvicinata a quest’ambito lavorativo?

"Ho frequentato una scuola di restauro a Gubbio, per poi trovare lavoro in uno studio agli inizi degli anni ’90. Lavorare in laboratorio mi ha permesso di conoscere aspetti che non avevo ancora appreso, nonostante la buona preparazione. È un percorso che oggi potrebbe essere ancora adottato: chi esce dalle scuole di alta formazione dovrebbe poter andare a bottega da qualcuno con più esperienza, mettendo in pratica gli insegnamenti e apprendendone di nuovi".

Dove si trova, oggi, la sua bottega?

"Sono in un piccolo locale in via Trento a Macerata, ma è una postazione transitoria. A poco a poco trasferirò tutto il lavoro in un laboratorio più grande".

Abbiamo parlato dell’artigianato come un settore essenzialmente manuale. Che ruolo ha giocato in questo l’avvento della tecnologia?

"La tecnologia ha migliorato la maggior parte delle procedure, da quelle utili alla promozione su siti internet a quelle che hanno a che fare direttamente con le tecniche di lavoro. Sostituendo le colle con i nuovi film adesivi e adottando strumenti di previsione e diagnostica più adatti ai tempi correnti, ad esempio, il lavoro di restauro è diventato molto più preciso".