LORENZO MONACHESI
Cronaca

Gli azzurri ai Mondiali: "Abbiamo riportato la nostra pallamano tra le più grandi"

Il cingolano Riccardo Trillini allena la Nazionale che dopo 27 anni torna a competere nell’importante manifestazione: "È uno sport che abbraccia tante caratteristiche, peccato che sia poco conosciuto".

Gli azzurri ai Mondiali: "Abbiamo riportato la nostra pallamano tra le più grandi"

Gli azzurri ai Mondiali: "Abbiamo riportato la nostra pallamano tra le più grandi"

"I giocatori si tatueranno la data del 12 maggio e lo farò anche io, magari il mio non sarà troppo visibile". Sono parole del cingolano Riccardo Trillini, direttore tecnico della nazionale di pallamano, ricordando quel giorno quando a Podgorica i suoi azzurri hanno coronato il sogno di tornare ai Mondiali dopo 27 anni. "Nel nostro sport - ricorda il tecnico di 59 anni - si tengono ogni due anni e così l’Italia era assente da 13 edizioni".

Trillini, lei è stato nominato dt delle nazionali nel 2017, qual è il significato del traguardo tagliato in Montenegro?

"La gioia e la soddisfazione provate si sono trasformate in serenità e sento di avere la coscienza a posto. Alla guida della nazionale maggiore abbiamo battuto e lottato contro nazionali fortissime, però prima avevo il senso di un’incompiuta, adesso è un’altra situazione".

Cosa si era posto quando ha deciso di assumere il ruolo di direttore tecnico?

"Volevo fare qualcosa per questo movimento che stava stagnando nei bassifondi del ranking cercando di cambiare mentalità. Nelle giovanili i risultati sono arrivati e adesso anche a livello maggiore".

Quale è stato l’ostacolo più complicato da superare tra Turchia, Belgio e Montenegro per centrare la qualificazione al Mondiale?

"Il Montenegro, anche se queste nazionali occupano una posizione migliore di noi nel ranking. Abbiamo dimostrato coraggio e carattere vincendo a Podgorica, di fronte a seimila spettatori. E che dire della sfida con la Turchia? Da loro abbiamo perso di 9 punti, qui con uno scatto di orgoglio è stato fatto un qualcosa di eccezionale battendoli di 10: raramente capita di vincere con un simile scarto. Poi i due successi con Montenegro e Belgio hanno dato nei ragazzi maggiore fiducia".

Perché a Cingoli la pallamano ha trovato terreno fertile?

"Più in generale direi che trova terreno fertile nei piccoli centri, mentre si perde nelle grandi città, dove potrebbe essere minore la concorrenza con altri sport. Poi i soldi che si possono trovare nelle realtà meno grandi possono essere sufficienti. Tutto ciò porta a conoscere questo sport, ad apprezzarlo e la conoscenza si tramanda da padre in figlio ed ecco che diventa tradizione".

Cosa ha di speciale la pallamano da averle fatto appendere i guanti da calcio per abbracciare un nuovo sport partendo dall’Abc?

"Peccato che sia uno sport poco conosciuto perché ci sono gli elementi per essere seguito in quanto abbraccia tante caratteristiche apprezzate. Ha quelle del calcio perché c’è il portiere e c’è da segnare; dell’atletica essendoci corsa, salto e lancio; del rugby perché ci sono lotta e contatto fisico".

Quando ha capito che la pallamano sarebbe diventata la sua professione?

"Piano piano. All’inizio allenavo nel calcio e facevo pallamano, poi ho accettato di fare supplenze nelle scuole essendo insegnante di educazione fisica. Insomma, mi barcamenavo tra queste situazioni quando sono arrivati i primi successi nel femminile che mi hanno portato ad allenare in Italia".

Lei non ha mai giocato a pallamano, ma è un allenatore apprezzato e vincente, come ha vissuto la mancanza di un’esperienza da giocatore?

"Mi sono sempre sentito nudo di fronte a tecnici che sono stati grandi campioni. Ho vissuto questo fatto come una sfida che mi ha spinto a studiare sempre di più, a impegnarmi nella metodologia di allenamento e nella didattica non potendomi cullare sulle certezze di un passato da giocatore".

Come è la vita di un allenatore che spesso lavora lontano dalla sua città?

"Con un po’ di solitudine, del resto quando si gira per l’Italia e il mondo è più complicato stringere amicizie, il lavoro mi assorbe dalla mattina alla sera tra video, analisi, studio. Sia chiaro, è bellissimo, però ho fatto delle rinunce agli affetti e alla famiglia. Ho sempre vissuto con due armadi".

Cosa le ha insegnato la parentesi lussemburghese?

"Tantissimo. Ho imparato a gestire atleti di tutto il mondo avendo 7-8 stranieri e professionisti, poi ho allenato in un campionato di altissimo livello in un torneo ricco, ho appreso inglese e francese. Questa esperienza all’estero mi ha completato essendo partito dalla base e avendo allenato in Italia da Siracusa a Bressanone".

Cosa ricorda con affetto dei suoi primi anni da allenatore a Cingoli?

"Le ragazze erano giovanissime io super giovane avendo 20 anni. Quell’esperienza mi ha trasmesso la passione per la pallamano e mi ha fatto maturare avendo delle responsabilità verso quelle ragazze".

Qual è stato il complimento che più l’ha colpita tra i tanti ricevuti per la qualificazione al Mondiale?

"Quello di Lino Cervar, che nel 1997 aveva portato l’Italia ai Mondiali, un tecnico considerato da tutti come un punto di riferimento. Mi riempie di orgoglio avere ricevuto i suoi complimenti, sono soddisfatto dalla sue parole in cui ha sottolineato il coraggio mostrato in quel campo, il gioco e perché ha detto che alla fine Davide ha sconfitto Golia".