ALESSANDRO FELIZIANI
Cronaca

Il giudice del Vajont. La battaglia di Mario Fabbri: "Riuscì a dare giustizia alle vittime e alle famiglie"

Riconoscimento Unesco per il fascicolo processuale del magistrato maceratese. Prima di indossare la toga, fu anche collaboratore de "il Resto del Carlino". .

Il giudice del Vajont. La battaglia di Mario Fabbri: "Riuscì a dare giustizia alle vittime e alle famiglie"

Il giudice del Vajont. La battaglia di Mario Fabbri: "Riuscì a dare giustizia alle vittime e alle famiglie"

"Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia, tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi". Con questa metafora, assai efficace, lo scrittore Dino Buzzati descrisse la tragedia del Vajont, che nella notte tra il 9 e il 10 ottobre di sessant’anni fa spazzò letteralmente via Longarone ed altri quattro piccoli paesi di quella stretta valle delle Prealpi bellunesi, provocando la morte di quasi duemila persone. Una frana di 266 milioni di metri cubi, staccatasi dal Monte Toc e precipitata nel sottostante lago artificiale, aveva provocato la tracimazione dell’invaso idroelettrico. Il tonfo di quella enorme massa di pietra aveva provocato un’onda gigantesca, che, oltrepassando la diga (rimasta intatta), si riversò nella valle sottostante sommergendo e portando via tutto ciò che la furia dell’acqua incontrava.

Si tentò di attribuire quella immane tragedia alla fatalità o a "capricci" della natura, ma un allora giovane magistrato maceratese, Mario Fabbri, con un lavoro di indagine accurato e perseverante, sconfessò l’idea di una catastrofe naturale imprevedibile, riuscendo ad individuare e dimostrare le cause umane. L’azione giudiziaria da lui intrapresa si concluse otto anni più tardi con la definitiva condanna dei maggiori responsabili. Fabbri, che all’epoca aveva appena trent’anni, era arrivato a Belluno due anni prima come giudice istruttore presso quel tribunale. Egli era convinto che quel disastro si sarebbe potuto evitare se quel "bicchiere pieno d’acqua" non fosse stato costruito sotto una montagna che dava segni di instabilità. Nel febbraio 1968 il giudice firmò undici rinvii a giudizio per dirigenti, progettisti e tecnici, quale atto conclusivo di difficili indagini da lui dirette in prima persona per circa quattro anni ed "affrontate con enormi difficolta", come egli stesso ebbe a ricordare nel 2011 quando all’auditorium San Paolo di Macerata gli fu consegnato il Premio "Il Glomere" attribuitogli dall’omonima associazione.

Nel maggio scorso, a quattro anni dalla sua scomparsa, avvenuta a Belluno, dove era rimasto a vivere dopo il collocamento a riposo, Mario Fabbri ha avuto un indiretto riconoscimento del suo scrupoloso lavoro anche dall’Unesco. Infatti, sulla base della candidatura avanzata dall’Associazione "Tina Merlin" di Belluno e dalla Fondazione "Vajont 9 ottobre 1963 onlus", con la collaborazione degli Archivi di Stato di Belluno e L’Aquila (i due processi, di primo e secondo grado, si svolsero nel capoluogo abruzzese per legittima suspicione), l’Unesco ha iscritto nel Registro internazionale "Memory of the World" l’intero fascicolo processuale del Vajont, riconoscendone il grande valore documentale, quale "esempio significativo in grado di testimoniare come l’uomo possa provocare una catastrofe intervenendo in maniera dissennata nel modificare l’equilibrio della natura". Si tratta di ben 256 faldoni di documenti cartacei, oltre a pellicole, lastre, manufatti, tra cui spicca anche la lunga (quasi 500 pagine) ed articolata relazione del giudice istruttore Mario Fabbri, del quale è stata riconosciuta di "assoluto rilievo l’innovazione giurisprudenziale da lui all’epoca introdotta, sia con l’affido delle perizie a tecnici stranieri, sia condividendo con la Commissione parlamentare di inchiesta atti e documenti che erano assoggettati al segreto istruttorio, essendo l’indagine ancora in corso di svolgimento".

Mario Fabbri era nato a Macerata il 14 dicembre 1932. Dopo il diploma di maturità classica conseguito nel 1951 al liceo "Leopardi" di Macerata, si era iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza. Nel 1953 vinse un concorso per cancelliere giudiziario. Prese servizio, ma non lasciò gli studi universitari. In quegli anni fu anche collaboratore del Resto del Carlino. Nel 1956 si laureò all’Università di Macerata e tre anni più tardi partecipò al concorso in magistratura. Risultato tra i vincitori, fu subito assegnato come uditore al tribunale di Macerata e, dopo sei mesi, nominato pretore a Rovigo; quindi dal 1961 giudice istruttore a Belluno, presso il cui tribunale è rimasto fino al pensionamento, nel 2002. Nel 1998 il Comune di Longarone gli conferì la cittadinanza onoraria e quando è scomparso, il 6 maggio 2019, tutte le istituzioni pubbliche bellunesi lo hanno commemorato come "il giudice del Vajont, per essere riuscito a dare un minino di giustizia alle vittime, alle loro famiglie e all’intera comunità di quella valle per sempre segnata dall’immane tragedia".