PAOLA PAGNANELLI
Cronaca

Il ’guerriero’ dell’intreccio "Arte imparata dagli anziani ora lavoro per grandi brand"

Alex Maurizi di Mogliano guida un’azienda di dieci persone, tutte under 25 "Il vimini è il mio materiale preferito, le mani sono l’attrezzo principale".

Il ’guerriero’ dell’intreccio  "Arte imparata dagli anziani  ora lavoro per grandi brand"

Il ’guerriero’ dell’intreccio "Arte imparata dagli anziani ora lavoro per grandi brand"

di Paola Pagnanelli

A 23 anni ha ripreso in mano un’arte antica ma ormai quasi dimenticata, quella dell’intreccio di vimini, pelle, corda, midollino o rafia. E grazie a questa riscoperta ha dato vita a un’azienda, "Intreccio Vivo", che lavora per i grandi marchi della moda e che occupa dieci persone, tutte sotto ai 25 anni. È per questo suo percorso che Alex Maurizi, imprenditore di Mogliano, è stato premiato nella Notte dell’Orgoglio Marchigiano a Francavilla d’Ete come "guerriero marchigiano".

Maurizi, come le è venuta l’idea di tornare a questa arte che ormai sembrava perduta?

"Frequentavo l’istituto agrario, ma non avevo alcuna soddisfazione, non era la scuola per me. Lasciati gli studi ho continuato a lavorare come cameriere, cosa che facevo da quando avevo 16. Cercavo di impegnarmi al massimo e dare il meglio. Ma nel giorno libero mi annoiavo. Allora ho pensato di seguire i consigli dei nonni, che mi dicevano di andare dagli anziani per imparare questo lavoro artigianale. E l’ho fatto".

La sua famiglia si occupava ancora di vimini o rattan?

"Il mio bisnonno era stato uno dei pionieri in questa attività, che però dopo di lui è stata abbandonata. A casa avevamo molti oggetti fatti con l’intreccio, ma nessuno conosceva più quella tecnica. Così a 17 anni sono andato dagli 85enni del paese, quelli rimasti in grado ancora di fare questo lavoro. A Mogliano nel 1970 c’erano 280 aziende artigiane, che più che aziende in realtà erano sottoscala e botteghe casalinghe. Qui il settore primario era l’agricoltura, ma in inverno si stava nelle botteghe o nelle stalle e si faceva quello che serviva".

Come è stata questa formazione?

"È stata un’esperienza atipica. Loro erano felici di insegnare, ma anche gelosi della propria tecnica. Dovevo rubare con gli occhi. Questa lavorazione è molto matematica, e ho dovuto sforzarmi al massimo".

Perché questa tecnica le è piaciuta?

"Mi è piaciuto vedere che da un filo, da una materia semplice di originale naturale, si può creare un oggetto anche bello, prezioso, importante. Qui c’era un distretto con un’arte per le mani che non si è saputo valorizzare al massimo. C’è ancora da fare, ma il mio obiettivo è portare l’intreccio in tutto il mondo".

Quando è nata la sua azienda, "Intreccio Vivo"?

"Il primo ottobre del 2019. Ma il processo per arrivarci è stato lungo, un anno e mezzo. E adesso siamo in dieci, oltre me. Sono partito nel sottoscala con un mio impianto, i tavoli e gli attrezzi che servono, cioè forbici e punteruoli. Poi con tanta voglia ed energia, tramite il passaparola, sono arrivati i primi brand. Ora siamo una squadra di under 25, quasi tutti di Mogliano o di Corridonia".

Per quali settori lavorate?

"Soprattutto per la moda e l’arredo. Gli artigiani qui mi dicevano che l’intreccio va a periodi. Ma noi sperimentiamo nuovi materiali e nuove lavorazioni, vorremmo portare questa tecnica anche nel mondo delle costruzioni, o nella cucina. In pochi lo sanno, ma l’intreccio è stata la prima lavorazione artigiana dell’uomo, prima della pelletteria e di tutte le altre".

La soddisfazione più grande?

"Tante lavorazioni. Ma la migliore sta per uscire. Noi lavoriamo soprattutto per grandi brand, ma vogliamo parlare anche dei nostri prodotti, senza etichette ma validi per diversi settori, ad esempio capanne o gazebi".

Il materiale che le piace di più?

"Il vimine è il più significativo. È fatto con la potatura del salice, è nostrano, grezzo, sembra povero e invece è ricco di storia e di colore. Ma ci sono anche l’ulivo, le canne palustri che sono di qui ma poco sfruttate. Stiamo facendo anche ricerche per le lavorazioni a chilometri zero".

Il bello di questa lavorazione è che è ancora tutta fatta solo con le mani.

"Sì, è tutto fatto con le mani, che sono l’attrezzo principale. Ci vogliono tantissimi anni di apprendimento, servono pazienza, dedizione e una manualità innata, soprattutto per realizzare prodotti di alta qualità. Oggi è lavorazione di nicchia, ma questa arte sopravvive da millenni".