Il processo mafia della movida. In sette finiscono in carcere

Dopo il verdetto della Cassazione, provvedimenti notificati a Montelupone e Potenza Picena

Il processo mafia della movida. In sette finiscono in carcere

Il processo mafia della movida. In sette finiscono in carcere

Sette ordini di carcerazione per altrettanti condannati, che in tutto devono scontare cinquant’anni di carcere: sono i protagonisti della mafia della movida. La settimana scorsa, la Cassazione ha respinto i ricorsi dei 15 imputati per l’operazione chiamata "Gustav". Solo per due, Salvatore Perricciolo e Andrea Petrolati, ha rinviato gli atti alla corte d’appello di Perugia per ricalcolare la pena finale. Tutti gli atti del processo sono stati inviati dunque a Perugia, dove l’ufficio esecuzioni della procura generale ha inviato gli ordini di carcerazione. I provvedimenti sono stati notificati a Potenza Picena e Montelupone, a Mondolfo, a Volterra, Viterbo, Pesaro e Parma.

In alcuni casi, i condannati erano già in carcere. Era libera invece Margherita Linardelli, di Potenza Picena, condannata per l’incendio di un night a quattro anni e un mese. Difesa dall’avvocato Maria Gioia Squadroni, scontando la sentenza potrà chiudere un capitolo che, per fortuna, la donna ha già archiviato cambiando radicalmente vita. Ed è finito in carcere anche Francesco Maenza, condannato a dieci anni di reclusione e difeso dall’avvocato Anna Indiveri. Il gruppo aveva dato vita a una associazione di stampo mafioso dedita a commettere vari delitti che vanno dallo spaccio di stupefacenti all’usura, fino all’estorsione ai danni di gestori di locali notturni e imprenditori. Questi ultimi venivano costretti dalla banda a pagare ingenti somme di denaro, dietro la minaccia di aggressioni fisiche, con l’ausilio di armi, o gravi danni ai locali da loro gestiti. I fatti di cui sono accusati gli arrestati sono stati commessi a partire dal 2009 nella riviera adriatica, tra Marche e Abruzzo, in particolare le zone di Recanati, Civitanova, San Benedetto, Fano, Castelfidardo, Martinsicuro. Per le minacce la banda acquistava armi ed esplosivo che venivano pagati con notevoli quantitativi di droga, per lo più cocaina, come avvenuto nell’agosto di quattordici anni fa, quando furono scambiati dodici chili di esplosivo con un chilo di droga.