L’accordo tra i sindaci ancora non c’è: "Ma ora i tempi sono molto stretti"

I timori del direttore Principi: le scadenze sono ravvicinate, siamo a un punto critico dell’intero percorso. Dopo la bocciatura del piano Parcaroli, non mancano dubbi anche sul progetto avanzato da Ciarapica.

Si è chiusa nell’arco di un’ora l’assemblea dell’Aato 3 di Macerata che, oltre al bilancio, era stata convocata per discutere il percorso per arrivare al gestore unico del servizio idrico integrato. Ancora una volta, però, non c’è stato nessun passo avanti. L’assemblea ha preso atto del parere del direttore, Massimo Principi, sulla "proposta Ciarapica", e ha dato mandato ai tecnici delle attuali società di gestione di confrontarsi (è già in programma un incontro online per il 30 aprile) per cercare un punto di caduta tra la società interamente pubblica presentata dal primo cittadino di Civitanova e la società mista (Comuni più gli attuali gestori) perorata dal sindaco di Macerata, Sandro Parcaroli. Se su questa Principi aveva espresso un parere negativo, su quella di Ciarapica la posizione è più articolata, poiché se è vero che il progetto "si prefigge correttamente la finalità di giungere a un soggetto giuridico unico in grado di gestire direttamente il servizio", e dunque è pensato nel quadro normativo di riferimento, è anche vero che al momento si presenta "come una bozza da sviluppare e completare", che presenta delle criticità. In generale, "il progetto tratta comunque necessariamente in modo superficiale e non dettagliato alcuni aspetti essenziali del percorso delineato", mentre "la tempistica è molto stretta e, data la complessità delle molteplici operazioni societarie da concludere, rappresenta un punto critico dell’intero percorso". Due proposte e due pareri, ma che fotografano le divisioni tra i sindaci, prova ne sia il fatto che della questione si discute ormai da un anno, ma senza costrutto. Il timore, infatti, è che anche la riunione del prossimo 30 aprile non produca nulla di nuovo.

La società mista non rispetterebbe le norme o, comunque, sarebbe una forzatura, che non reggerebbe alla prima verifica, per poter continuare l’affidamento in house, soprattutto per la presenza del socio privato in Astea, e perché non garantirebbe l’unicità del servizio. La società interamente pubblica, invece, sarebbe conforme alle norme, ma potrebbe creare seri problemi sul fronte finanziario e, poi, metterebbe in difficoltà le attuali società che, cedendo il loro ramo idrico nelle mani del gestore unico, avrebbero serie difficoltà sui loro assett, con effetti a cascata sul volume d’attività e sulla occupazione. Sono questi i nodi, conosciuti da tempo, per sciogliere i quali, però, sono state fatte proposte diverse. A questo punto, se davvero si vuole che la gestione dell’acqua resti in mano pubblica e non finisca ai privati, sarebbe il caso di fare come fecero i cittadini di Viterbo nel 1268 dopo la morte del papa Clemente IV. I cardinali, riuniti nella città per eleggere il successore, erano divisi e dopo un anno e mezzo ancora non avevano trovato la soluzione. I viterbesi li chiusero a forza "cum clavem" (da cui il termine conclave) nella grande sala del palazzo papale, pur di farli arrivare a un accordo. Oggi non servono atti di forza: basterebbe la volontà politica.