PAOLA OLMI
Cronaca

"Lezioni con finalità culturali, in aula non si fa catechismo"

Il vescovo Marconi: il calo non è drastico ed è legato all’aumento degli stranieri

"Lezioni con finalità culturali, in aula non si fa catechismo"

"Lezioni con finalità culturali, in aula non si fa catechismo"

Si fa un gran parlare dei dati forniti dal ministero dell’Istruzione in merito all’insegnamento della religione cattolica Italiana e ai dati relativi alla significativa flessione di partecipazione degli studenti a tale materia. Il Carlino ne parla Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata e presidente della conferenza episcopale marchigiana. Monsignor Marconi ha insegnato religione a scuola in ogni ordine e grado, e ha anche curato la formazione degli insegnanti di religione per anni, quindi conosce bene questa problematica.

In cosa dovrebbe consistere l’insegnamento della religione cattolica?

"Mi conceda una breve premessa – dice monsignor Marconi –. Questo calo di alunni, non così drastico nei numeri, è dovuto a vari motivi. Uno molto significativo è che gli stranieri tra gli studenti italiani sono intorno all’11% e nella stragrande maggioranza provengono da paesi e culture non cattoliche. Poi soprattutto in alcune regioni e in alcune zone d Italia sono attivi gruppi che si oppongono a questo insegnamento, vedendovi un pericolo per la laicità, che non ritengo motivato. L’IRC (insegnamento della religione cattolica, ndr) infatti ha una finalità formativa e culturale, non di conversione o di preparazione ai sacramenti. Siccome poi la religione cristiana cattolica è vissuta da una comunità concreta che è la Chiesa locale, è saggio che chi vuol far conoscere culturalmente questa religione faccia conoscere agli alunni: la Chiesa, le persone che la compongono concretamente e le iniziative che fa sul territorio, da quelle liturgiche a quelle caritative. Ciò, però, non deve essere catechismo, né invito alla conversione, ma indagine sul campo e studio sperimentale".

La Chiesa a scuola non sa più parlare il linguaggio degli uomini del nostro tempo o, al contrario, lo parla troppo e alla fine parla poco di Dio?

"Parlare di Dio agli uomini del nostro tempo e in un linguaggio che possano comprendere e sentire vicino è sicuramente impegnativo, ma considerando che oltre 1.300.000.000 di persone nel mondo: i cattolici, condividono una visione comune di Dio e dell’uomo, conoscere il loro pensiero mi sembra un aspetto culturalmente rilevante. Far conoscere il pensiero cristiano che ha segnato e segna in modo molto diffuso la cultura mondiale, arricchisce umanamente i nostri studenti. Per accogliere o rifiutare una proposta di senso della vita, così significativa per tanta gente, è utile conoscerla bene. È per questo che l‘IRC è stimato, tanto che è scelto dall’84% degli italiani, molti più di quelli che vanno a messa".

Alcuni genitori vedono l’insegnamento della religione cattolica come qualcosa di differente da ciò che dovrebbe essere?

"Ritengo di sì. Loro sperimentano quotidianamente quanto sia complesso insegnare ai propri figli il rispetto delle regole, l’ordine di vita, le buone maniere e, immagino, vorrebbero che l’IRC insegnasse educazione civica, igiene, maturità nelle relazioni affettive ed altre cose buone. Io credo che la cultura cristiana dia delle buone motivazioni per vivere tutto questo, non indottrinando, ma convincendo del valore del bene giovani liberi che debbono restare tali. La fede non si impone, così come i valori umani, vale solo se è scelta liberamente. E questo i nostri insegnanti lo sanno e lo hanno a cuore. Vogliono aiutare la scuola a formare persone libere, che pensino con la loro testa. Questo è il primo obiettivo dell’IRC".

Cosa vorrebbe consigliare ai suoi ex colleghi docenti?

"Prima di farci prendere da smanie moderniste, credo che si debba insistere nel motivare il nostro lavoro educativo agli occhi di una società italiana che, ripeto, già mostra all’84% di riconoscerne il valore".