ALESSANDRO FELIZIANI
Cronaca

Storia a lungo ignorata. Deportati ’lavoratori coatti’

Tanti giovani vennero prima internati a Sforzacosta e poi trasferiti in Germania. Il diario di Balilla Bolognesi: "Condannati a sgobbare e a una morte lenta".

Storia a lungo ignorata. Deportati ’lavoratori coatti’

Storia a lungo ignorata. Deportati ’lavoratori coatti’

Il 25 aprile 1945 è una data “spartiacque” nella storia d’Italia. Segna la definitiva Liberazione dal nazifascismo, che Macerata e gli altri centri della provincia avevano già ottenuto nell’estate precedente. Esattamente 80 anni fa. Prima, quindi, che nel resto del settentrione, ma comunque dopo le tante sofferenze della popolazione e gli efferati eccidi che hanno segnato la storia della Resistenza nel Maceratese: Montalto di Cessapalombo, Braccano di Matelica, Chigiano di San Severino, Palentuccio, Letegge, Pozzuolo e Capolapiaggia di Camerino, solo per citare i più noti.

La Liberazione di Macerata, il 30 giugno 1944, arrivò troppo tardi anche per i tanti giovani del Maceratese che nell’aprile di quell’anno non riuscirono a sfuggire ai rastrellamenti dei nazifascisti e che, dopo una breve periodo di internamento nel campo di concentramento di Sforzacosta, furono deportati in Germania come “lavoratori coatti” nell’industria bellica tedesca. Gran parte di loro non avevano ancora compiuto vent’anni di età. La vicenda di quei giovani che tra la primavera del 1944 e l’aprile del 1945 furono costretti a lavorare per i nazisti è una pagina della storia rimasta a lungo ignorata. Solamente nei primi anni Duemila fu riportata alla luce con alcune concomitanti iniziative: una ricerca storica degli alunni dell’Itc di Macerata, che intervistarono quattro reduci: Alfio Colonnelli e Gino Gattari di Tolentino, Dino Amici di San Severino e Mario Bonacucina di Matelica; una conferenza ed una mostra dal titolo “L’altra deportazione – Lavoratori forzati da Macerata alla Germania di Hitler”, tenutesi all’università di Macerata; la pubblicazione, a cura di Annalisa Cegna, direttrice dell’Istituto storico per la Resistenza, del diario di uno dei deportati, Balilla Bolognesi di Esanatoglia.

I fratelli Giuseppe e Balilla Bolognesi, rispettivamente di 19 e 22 anni, furono due dei circa cento civili, tutti dell’entroterra maceratese, che nel campo d’internamento di Sforzacosta, vennero “selezionati” per il lavoro coatto in Germania. Tutti deportati a Kahla, zona mineraria della Turingia ricca di gallerie sotterranee, dove Hitler aveva concentrato l’industria per l’assemblaggio degli aerei militari. Ovviamente i deportati italiani furono addetti ai lavori più duri e disagiati. “Noi del Lager di Kahla – si legge nel diario di Balilla Bolognesi – abbiamo svolto sempre lavori di manovalanza con piccone e badile per fare strade, ferrovie e altri lavori, sempre all’aperto, salvo il lavoro in galleria. In turni di 12 ore, di giorno o di notte, con qualsiasi sorta di temperatura e condizioni di tempo, condannati a lavorare fino allo sfinimento, fino alla morte, una morte ancora più terribile perché più lenta e dolorosa, come il morire di fame, di dissenteria, di tubercolosi, di freddo, senza alcun conforto, materiale o spirituale”. Balilla Bolognesi fu tra coloro che, dopo la Liberazione, poterono riabbracciare i famigliari, ma molti non sopravvissero a quella disumana esperienza. Secondo un censimento promosso dall’Istituto storico per la Resistenza, a Kahla morirono diciotto maceratesi: sette erano di Matelica, uno di Castelraimondo, due di Esanatoglia ed altrettanti di San Severino, Treia, Cingoli e Tolentino. Il più giovane di loro, Luigi Calvigioni di Tolentino, trovò la morte nel lager di Kahla tre mesi prima del suo ventesimo compleanno e una lapide posta dal fratello Benito lo ricorda oggi in quel cimitero.

Il 5 maggio 2006 si svolse a Kahla la commemorazione internazionale in onore delle vittime dell’ex fabbrica di armamenti “Reimahg”. Vi prese parte anche una delegazione della Provincia di Macerata e una targa fu posta all’esterno della miniera, a ricordo del sacrificio dei maceratesi che vi furono deportati. Con l’allora presidente del Consiglio provinciale, Silvano Ramadori, parteciparono rappresentanti dei comuni di Matelica e Tolentino, dell’Anpi e dell’Istituto storico di Macerata, diversi studenti di Matelica e San Severino ed anche tre reduci di quella dolorosa esperienza: Balilla Bolognesi (autore del “Diario”), Giambattista Boldrini di Matelica e Americo Capomasi di Cingoli.