"Delitto Montanari, il segreto era nell’auto"

La criminologa Pesce: "La vettura non fu mai davvero esaminata: erano altri tempi"

"Delitto Montanari, il segreto era nell’auto"

"Delitto Montanari, il segreto era nell’auto"

"La chiave per arrivare ad una svolta era sicuramente nell’auto, che però non fu esaminata e neppure furono cercate le tracce: le indagini venivano condotte con strumenti diversi rispetto a quelli di cui oggi siamo in possesso. Ma, soprattutto, molto sarebbe emerso dalle testimonianze che non furono acquisite nell’immediatezza. Sicuramente, riprendere in mano il caso dieci anni fa, sarebbe stato diverso". Sono queste le parole della criminologa Antonella Delfino Pesce il cui studio degli atti, condotto insieme ad un cronista locale ha portato alla riapertura del caso irrisolto dell’omicidio di Giorgio Montanari. A fronte della richiesta di archiviazione del caso da parte della procura, la criminologa afferma: "Qualcosina per andare avanti c’era ma è importante rispettare la volontà dei familiari: qualsiasi decisione è giusta. Il problema grande in questi casi è che non si sa mai se vi siano ancora reperti presenti o meno: le tracce sarebbero state un punto interrogativo".

Il contributo della dottoressa Delfino Pesce è stato comunque fondamentale per scrivere una nuova ‘verità’ sul terribile delitto del direttore della clinica ostetrico ginecologica del Policlinico di Modena, travolto da una raffica di colpi di arma da fuoco nel 1981 mentre tornava dall’ospedale dopo una giornata di lavoro. "Sono trascorsi 42 anni ma sono i fascicoli stessi a far prediligere una pista piuttosto che un’altra. Inizialmente si individuano quattro o cinque soggetti interessanti poi, continuando nello studio dei verbali e incontrando alcuni testimoni dell’epoca alcune piste perdono valore mentre altre vengono confermate". Come noto ad essere iscritto nel registro degli indagati, grazie alle indagini della mobile è stato un 65enne modenese, il padre di un bambino vittima di un errore medico in sala parto e oggi disabile. La pista, però, avrebbe condotto non al papà del neonato, bensì al nonno, deceduto 20 anni fa. "Una sfuriata in particolare era agli atti", spiega la criminologa. "Si parlava di un parente di un paziente, ma senza nome e cognome. Una volta esaminate piste diverse, le tessere del puzzle ci hanno condotto a quella che ha permesso di riaprire il caso". La professionista spiega quindi come molti dettagli siano emersi dalle foto scattate all’epoca: "C’era una bomboniera in auto e altri elementi, oltre ad una perizia balistica redatta successivamente e fatta molto bene da Romanini, perito poi deceduto. Se fosse stata condotta a mio avviso un’indagine accurata sull’auto, si sarebbe arrivati all’assassino ma ripeto gli strumenti in possesso degli inquirenti, allora, erano diversi".

v.r.