Maurizio Reggiani : "Una vita in Lamborghini . Non ho mai spento il motore dei sogni"

Dalla Bassa ha raggiunto l’Olimpo dei bolidi della nostra terra. Partito come tecnico di Maserati, ha lavorato anche in Bugatti . "Ho conosciuto personaggi come Stanzani, Forghieri e Dallara". .

Maurizio Reggiani : "Una vita in Lamborghini . Non ho mai spento  il motore dei  sogni"

Maurizio Reggiani : "Una vita in Lamborghini . Non ho mai spento il motore dei sogni"

di Giorgia De Cupertinis

Un viaggio lungo quarantadue anni. Un viaggio costellato da traguardi ambiti, sudati, raggiunti. Un viaggio, quello di Maurizio Reggiani, 64 anni originario di San Martino Spino (Mirandola), dove le emozioni non hanno mai "spento i motori". Vicepresidente Automobili Lamborghini con responsabilità per il motorsport e soprattutto chief techinical officer tra il 2006 e il 2021 ha lasciato, a fine anno, l’azienda di Sant’Agata Bolognese, azienda in cui ha contribuito al radicale rinnovamento della gamma ed allo sviluppo tecnologico e prestazionale delle auto del Toro.

Così il vicepresidente Automobili Lamborghini è partito dalla Bassa modenese ed è riuscito a raggiungere l’Olimpo della motor Valley e il mondo: un’avventura che lui stesso, sui social, ha definito "straordinaria".

Maurizio Reggiani, come iniziò la sua storia nella Motor Valley?

"Era il febbraio del 1982, nell’Ufficio Tecnico Progettazione Motori di Maserati. Un sogno: in quegli anni ho avuto la fortuna di entrare in contatto con De Tomaso e di occuparmi della progettazione della Biturbo. Ero giovane ma già mi rendevo conto di vivere sulla mia pelle un’esperienza capace di insegnarmi tantissimo".

Come ha proseguito?

"Nel 1987 ricevetti un’offerta di lavoro in un’altra azienda. In realtà non sapevo nemmeno quale fosse: soltanto dopo scoprii che era la Bugatti. Eravamo ancora nella fase embrionale, molto prima dello stabilimento a Campogalliano".

Fu uno dei primi, quindi, ad addentrarsi in questa avventura.

"Sì, lo testimoniava il mio badge. Ero il dipendente numero due. Ho lavorato dove non c’era nulla, dove tutto era da fare: insomma, il famoso ‘foglio bianco’. Ho avuto la fortuna di conoscere personaggi unici degli anni Novanta, come Stanzani, Materazzi, Forghieri e Dallara e assorbire da loro, come una spugna, tutto ciò che potevo imparare".

Poi, un nuovo capitolo da scrivere, quello firmato Lamborghini. Come arrivò a Sant’Agata bolognese?

"Fui contattato nel 1995 e iniziai come mechanical design manager, per poi diventare Cto nel 2006 e gli ultimi due anni come VP Motorsport. Ero lì quando si trattò di lanciare un nuovo progetto, la Baby Diablo: la strategia era quella di trovare un motopropulsore già esistente sul mercato e dopo diversi studi arrivammo alla conclusione di voler utilizzare quello dell’Audi".

E poi?

"Fissammo un appuntamento con il direttore tecnico dell’Audi per presentare questa richiesta. Ci presero seriamente: si susseguirono diverse discussioni tecniche, dove io ero referente di Lamborghini. Il tutto andò avanti fino al ‘98, quando ci trovammo in un salone di Detroit, e in quel momento il mio interlocutore mi disse: ‘Maurizio si può fare. Ma a condizione che Audi acquisti Lamborghini’. Lì esplose la felicità, ma anche lo spavento. La questione fu gestita dagli azionisti e si arrivò a giugno di quell’anno, quando venne firmata la cessione. Poi partì tutto: ero lì quando producevamo duecento vetture all’anno, ed ero lì quando ne producevamo novemila. Gallardo, Aventador, Huracan, Urus...e tutte le altre che il mondo conosce".

Poi, il 14 aprile scorso ci fu un altro traguardo raggiunto: la laurea ad honorem dell’Università di Bologna. Cosa ha provato in quel momento?

"Un evento inaspettato, che mi ha riempito di orgoglio. Ho ricevuto la laurea ad honorem in ingegneria meccanica: l’ultima era stata assegnata 62 anni prima a Enzo Ferrari. È stato uno dei più grandi coronamenti della mia carriera".

Quali ricordi saranno sempre indelebili?

"In oltre 40 anni di carriera succede di tutto. Dalle cose felici a quelle angoscianti. Ci sono molti momenti di cui vado fiero, come il progetto della Aventador: riuscimmo a convincere l’azionista a credere in qualcosa di davvero utopistico".

Che consiglio darebbe ai giovani che vogliono seguire la sua stessa strada?

"Metterci passione e credere in quello che si fa, nelle proprie idee. Confrontarsi con gli altri e avere la capacità di promuoverle se sono quelle giuste, ed avere l’intelligenza di modificarle se necessario".

E dopo il traguardo della pensione, ora cosa farà?

"Ho un fortissimo legame con la mia terra. E voglio restituire ciò che ho avuto la fortuna di imparare in un contesto internazionale. Ho tenuto, ad esempio, diversi corsi alla Bologna Business School che mi hanno dato tantissime soddisfazioni. Mi piace l’idea di consegnare la mia esperienza alle nuove generazioni. E se ci sarà il modo, affidare il mio ‘know-how’ come ausilio alle aziende e al territorio".