Addio torri Hamon e all’ippodromo. E un po’ mi dispiace

Il giornalista Franco Gàbici esprime preoccupazione per la demolizione delle Torri Hamon e la trasformazione dell'ippodromo di Ravenna, ricordando la bellezza e la storia di questi luoghi. Ravenna cambia, ma il futuro dirà se sarà un cambiamento positivo o negativo.

"E come soffriva quando vedeva (…) scomparire sotto il piccone o il martello un ricordo o un’architettura…". Queste parole di Santi Muratori a ricordo di Armando Sansoni mi sono tornate nella mente di fronte alle brutte sorprese che i ravennati di vecchio pelo hanno trovato dentro l’uovo di Pasqua: la demolizione delle Torri Hamon e la ’riqualificazione’ del vecchio ippodromo. Cominciamo dalle Torri Hamon. Si è sempre chiacchierato di "archeologia industriale" e di tutela di certi manufatti che fanno parte della storia di una comunità e le Torri Hamon sono un bellissimo esempio di ingegneria, due stupendi ’iperboloidi di rotazione’ che non hanno uguali. Tempo fa scrissi qualcosa sulla poesia di queste torri e si levarono alcune voci a favore della loro salvaguardia e fra queste, se non ricordo male, quella dell’amica Cristina Mazzavillani Muti. Ricordo che ebbi un incontro ravvicinato con le torri alcuni anni fa. Vederle da vicino, toccarle, ti rendi conto della loro stupenda maestosità. E se entri dentro, l’impatto è ancora più suggestivo. E mentre ascoltavo in un silenzio quasi religioso i giochi del vento che "qui fatto prigioniero (come la luce nella Cappella arcivescovile) regna libero dando voce alle torri", sperai che venissero salvate.

E veniamo all’ippodromo. Ravenna, a detta degli intenditori, ha una delle piste ippiche ‘più veloci’ d’Italia ed è un vero peccato non utilizzarla più. So che certi appassionati hanno cercato di difenderla facendo presente che tutta la zona dell’ippodromo fu donata al Comune con il patto però di non cambiare destinazione. Il documento, però, non si è mai trovato e poi si sa – il caso dei Galletti Abbiosi insegna – in che conto vengano tenuti certi documenti. Alle cadenze felpate degli zoccoli dei cavalli dovremo abituarci al ronzio metallico delle biciclette che in passato hanno interessato il nostro ippodromo. Nel 1952, infatti, scese in pista la coppia Fausto Coppi-Gino Bartali e nel 1955 fu sede dell’arrivo della tappa a cronometro ‘Pineta di Cervia-Ravenna’ del Giro d’Italia. I ravennati, dunque, che amano la bicicletta (e che comunque si ostinano a non usare in città le piste ciclabili!), potranno avere a loro disposizione uno spazio per le loro pedalate. E così sia.

Ravenna cambia. In bene o in peggio sarà la storia a dirlo. Da vecchio ravennate rimpiangerò le criniere al vento dei cavalli e le eleganti torri lungo la strada del mare. Ma i rimpianti, come disse il poeta Prevert, sono ’sciocchi’ e vanno sacrificati sull’altare del futuro.

Franco Gàbici