
Gianni Fabbri, ex patron del Ravenna Calcio (Foto Zani)
Ravenna 29 gennaio 2019 – Cinque anni per l’ex patron Gianni Fabbri, un anno e quattro mesi per il figlio Flavio Fabbri e due anni per l’allora vicepresidente Antonio Ciriello. Sono queste le richieste di condanna fatte dal Pm Alessandro Mancini per gli ex vertici del Ravenna calcio, accusati di concorso in bancarotta fraudolenta per avere condotto la società al fallimento, decretato a giugno 2012, già a partire dalla retrocessione dalla serie B in Lega Pro nel campionato 2007-2008, determinando secondo le indagini svolte dalla Finanza un danno patrimoniale di rilevante gravità per la massa dei creditori, con debiti insoluti per oltre 5 milioni di euro. La sentenza del Gup Andrea Galanti, nel processo con rito abbreviato, è prevista a febbraio. Gli imputati – inizialmente figuravano anche gli ex dirigenti Marco Animobono e Ido Casalboni, deceduti – sono difesi dagli avvocati Ermanno Cicognani, Giovanni Scudellari, Antonio Primiani e Dora Zambelli, che hanno dato battaglia, sostenendo che una società di calcio non può esser valutata con i parametri di una comune impresa e attribuendo la responsabilità del fallimento alla successiva «deleteria» gestione Aletti.
Ma secondo l’accusa le cause del crac vanno ricondotte proprio agli anni di Fabbri, ex patron dei giallorossi che riportò la squadra nel calcio che conta, ieri presente in aula assieme ai propri familiari, poiché ritenuto artefice e a capo di una serie di operazioni dolose. I primo addebito è relativo a una serie di sponsorizzazioni ritenute fittizie, in particolare quella di Seaser, gestore di Marinara, e Marinagest, gestore del porto turistico. Somme mai corrisposte e e senza che il Ravenna abbia fatto nulla per recuperala, ad eccezione di quattro posti barca a compensazione, dal valore inferiore e ben poco attinenti con una società calcistica.
Tra le sponsorizzazioni fittizie figurano anche altri 720mile euro riconducibili ai due dirigenti deceduti. Secondo le difese accadde che società del mondo immobiliare e portuale che fino ad allora avevano onorato gli impegni non poterono più farlo a causa delle crisi di settore, e questo il Ravenna certo non poteva prevederlo, inoltre Aletti si era accollato i debiti degli ex soci Animobono e Casalboni, il che dimostra che i contratti non erano fittizi. Nel mirino della procura c’è anche un gesto di apparente generosità degli allora dirigenti giallorossi: 90mila euro, provento di risarcimento assicurativo, dissipati in un momento di tensione finanziaria poiché devoluti ai familiari di Brian Filipi, il giocatore deceduto in un incidente. Per le difese, al contrario, non si trattò certo di un gesto fatto allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, bensì «per puri intenti caritatevoli».
Gli imputati devono inoltre rispondere di false comunicazioni sociali, avendo di fatto messo in essere operazioni di bilancio non veritiere, ingannando su quello che era il reale stato dei conti della società. Esempio, alla voce crediti sponsorizzazioni inserite sebbene mai incassate, facendo apparire nel bilancio 2010 un attivo di 15mila euro anziché un passivo di 400mila euro.