Il racconto di chi era a bordo: "Vogliamo un futuro migliore"

I desideri di famiglie e minori: "Chiediamo una casa e di poter vivere in sicurezza". Bernard (Medici Senza Frontiere): "Tanti gli incarcerati in Libia. Le cicatrici peggiori? Quelle invisibili".

Il racconto di chi era a bordo: "Vogliamo un futuro migliore"

Il racconto di chi era a bordo: "Vogliamo un futuro migliore"

"Ognuno ha la sua storia, ma in generale una cosa di cui tanti hanno parlato è la speranza di trovare una casa e rifarsi una vita al sicuro, di costruirsi una nuova vita e di supportare le proprie famiglie". Risponde così Margot Bernard,vice capo progetto di Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents, quando le chiediamo cosa sperano di trovare, in Europa, i 336 migranti. Le condizioni di queste persone, prosegue, raccontano di storie drammatiche. "I medici hanno riscontrato segni di violenze subìte durante il loro viaggio migratorio, con cicatrici frutto di violenze estreme". Il punto di partenza, la Libia, è stato per molti di loro un inferno. "C’è chi ha passato diversi mesi, chi fino a un anno, in carcere, venendo picchiato ogni giorno. Gli è stato estorto denaro, richiesto anche ai loro familiari perché li liberassero". Purtroppo "molte" delle cicatrici che queste persone si porteranno dietro a lungo "non sono visibili". I più fragili, "sono i minori". La giornata chiave per il personale della Geo Barents è stata quella del 29 dicembre. "Abbiamo effettuato tre salvataggi di barche che erano partite dalla Libia, lavorando senza sosta. Le persone sono scese fradice dalle barche e alcuni erano ricoperti di carburante, erano molto stanchi e disidratati e alcuni hanno avuto necessità di essere immediatamente soccorsi dal punto di vista sanitario non appena sono arrivati nella nostra nave".

A quel punto alla Geo Barents è stata assegnato il porto di Ravenna, che distava oltre 800 km. Nel corso di questi cinque giorni i migranti hanno potuto ricevere assistenza. Però "ò’aiuto medico che possiamo fornire sulla nave è ovviamente molto limitato in rapporto alle loro necessità e a ciò che avrebbero potuto ricevere sulla terraferma se fossimo stati assegnati a un porto più vicino". Si è dovuto "aspettare senza motivo" prima di curare delle persone. Le ong "stanno colmando un vuoto di cui Unione Europea e Stati non si occupano. La nostra capacità continua a diminuire perché veniamo mandati in porti lontani". Anche per via del decreto del governo le ong sono "costrette a dirigersi verso il porto subito dopo il primo salvataggio", senza poter continuare a ’pattugliare’ il mare in cerca di altre persone da soccorrere.