PAOLO
Cronaca

Il sobrio veglione del capostazione Lattuga

La notte di San Silvestro si imbattè in un uomo lungo i binari: "Quando parte il primo treno?" gli chiese. "Per dove?". "Ovunque"

Il sobrio veglione del capostazione Lattuga

Il sobrio veglione del capostazione Lattuga

Casadio

Il sonno lo prese con facilità sulla panchina della stazione ravennate, trascinandolo nell’affollata solitudine dei sogni. E furono sogni d’occhi azzurri, per quant’erano rari tra i ravignani, e rendevano il loro proprietario straniero in modo automatico, e c’era un mondo in quelle iridi, c’era un’aurora, una luce. E furono sogni di baci dimenticati, scoccati durante un tango appassionato eseguito sul piazzale del Solario, tanti anni prima. E furono sogni di ricordi, quando corteggiava la ragazza che sarebbe diventata sua moglie, e s’usava recarsi in buon numero a casa di lei per il trebbo. Non tutti erano graditi alla famiglia e ci si metteva a semicerchio impetto al focolare, dove il posto più vicino al fuoco era riservato al nonno.

Il vecchio, con l’immancabile pipa di schiuma, svolgeva d’autorità il ruolo di selezionatore dei pretendenti alle nipoti, e valutava i candidati sulla base dell’istinto, del comportamento, del linguaggio, dei modi, per rivolgersi infine al prescelto invitandolo a ricaricar la pipa. Degli esclusi, s’usava dire che avevano mangiato dell’aglio, e la metafora sulla potenza repellente della pianta era chiara. Quella volta toccò a lui esser scelto, e anche nel sonno gli parve sentir sobbalzare il cuore dall’emozione, quell’emozione che l’avrebbe accompagnato per una vita troppo breve.

Il capostazione Otacilio Lattuga, da quand’era finita la guerra non riusciva più a dormire. Trascinava la sua figura tarchiata e grossolana per i locali vuoti della stazione, saliva alla piccionaia nel controllo metodico delle uova, scendeva alla biglietteria per verificare l’ordinata ripartizione dei talloncini cartacei, provava fischietti, srotolava e arrotolava bandiere rosse, accendeva lanterne, rinnovava l’inchiostro nei tamponi, allineava timbri. Poi di nuovo a letto, senza svegliar la moglie, sospirando un’ora di oblio, uno stacco dalla vita, un sogno. Niente. Mai aveva abbandonato la stazione, neppure durante i bombardamenti selvaggi e lo sbriciolamento di rotaie, edifici, vaporiere e vagoni. Il miagolio delle bombe lo sentiva ancora sibilare nella testa, e i dottori gli avevano detto che doveva farci l’abitudine, ché quel tintinnare continuo non sarebbe più scomparso.

La sera di san Silvestro, Otacilio Lattuga s’intrattenne più del previsto in piccionaia: la riproduzione dei piccioni era abbondante, e questo veniva a significare più carne da portare in tavola. Doveva a quei volatili la sopravvivenza alimentare della sua famiglia, ché di carte annonarie sarebbero allegramente morti di fame. Durante la verifica gli parve d’udire un rotolar di ciottoli e poco gl’importò, perché la ferrovia era divenuta un trasporto clandestino di sbandati, reduci, profughi e ricercati. La sua territorialità si fermava alla stazione, e tanto gli bastava. Per l’appunto, sceso all’ufficio movimento, s’accorse della nuova presenza del viandante addormentato sull’ultima panca della pensilina, un viandante così malandato che il magone lo prese alla gola. Uscito dall’ufficio s’avvicinò all’uomo, percependone il sonoro runfuliare. Gli diede un paio di scossoni, l’altro si svegliò, si guardarono. "Quando parte il treno?" farfugliò. "Quale treno?" indagò il capostazione. "Uno purchessia" rispose il forestiero dalle iridi azzurre. "I treni si prendono per andare da qualche parte" obiettò Lattuga e l’uomo: "Per andare dove voglio io, va bene qualsiasi treno". Lo disse così, con la voce franta e disillusa come un’addio alla vita, tant’è che il capostazione gli si sedette a fianco.

"Dove abitate?" e non ebbe replica. "Profugo? Reduce?" e la risposta fu un sospiro fondo che pareva venir fuori da sottoterra: "Vedovo". Otacilio Lattuga ne aveva viste tante, e tanto aveva finito per capire. "Avete cenato?" e non attese altro. Garbato e deciso lo invitò a casa sua, dove poco c’era ma si sarebbe diviso, in modo da allontanare dallo sconosciuto quel treno destinazione purchessia. Perché c’era chi voleva andar sul treno, ma anche chi voleva andar sotto al treno.