"Impagabile aiutare gli atleti paralimpici"

L’esperienza ai mondiali di atletica del voltanese Erik Mini, che lavora nel centro protesico di Budrio: "È stata un’esperienza unica"

"Impagabile aiutare gli atleti paralimpici"

"Impagabile aiutare gli atleti paralimpici"

"È stato bello aiutare atleti provenienti da ogni parte del mondo e confrontarmi con realtà, culture ed etnie diverse dalla nostra. Il fatto poi di rendersi utili nei confronti di atleti di Paesi meno sviluppati mi ha ricordato che spesso durante la giornata ci si lamenta per delle banalità, dimenticando poi che in realtà i problemi della vita sono altri".

E’ racchiusa in queste frasi la recente esperienza vissuta a Parigi, in occasione dei campionati mondiali paralimpici di atletica leggera, da Erik Mini, originario di Voltana e residente a Bagnacavallo. Dal 2017 lavora come protesista di arto inferiore alla Ottobock di Budrio (Bologna), multinazionale tedesca leader nel panorama mondiale della tecnica ortopedica. Dopo essersi diplomato al Liceo Scientifico Oriani di Ravenna, Erik ha conseguito la laurea in Tecniche Ortopediche presso l’Università di Bologna. Reduce dalla capitale transalpina, lo abbiamo incontrato nella sua Voltana, dove vivono i suoi genitori Marzia e Daniele ed il fratello Marco.

Come si è avvicinato a questa professione?

"Mi è sempre piaciuto aiutare il prossimo e contemporaneamente mi ha sempre interessato il mondo della protesica, soprattutto a livello sportivo. È bella l’idea di creare qualcosa che permetta, a persone nate con menomazioni o che hanno subito amputazioni, di poter tornare a una vita autosufficiente".

Un lavoro in cui anche il lato psicologico è importante.

"In effetti molto spesso è così, visto che si ha a che fare con persone reduci soprattutto da incidenti traumatici. Senza dimenticare poi che c’è chi, oltre ad aver perso una parte del proprio corpo, ha purtroppo perso dei famigliari. Quindi è veramente importante oltre all’aspetto tecnico anche quello della sensibilità nei confronti di chi aiutiamo".

C’è un caso che l’ha colpita in particolare?

"Ce ne sono stati diversi. D’altronde è sempre una soddisfazione inspiegabile vedere una persona tornare a camminare. Ricordo in particolare quello di un signore che non camminava da anni ed al quale stavo provando una protesi con ginocchio elettronico. L’ho visto fermarsi dopo aver fatto qualche passo, per poi commuoversi. Era da tempo che non provava la sensazione di camminare in maniera naturale".

In questi anni il settore della protesica ha fatto passi da gigante…

"E’ un mondo tanto vasto quanto poco conosciuto. Ci sono tantissime tecnologie in continua evoluzione che permettono ai pazienti di condurre una vita il più autonoma possibile sia sotto l’aspetto quotidiano sia, nel caso di atleti, a livello sportivo".

Cosa le è rimasto della recente a Parigi?

"Professionalmente e umanamente parlando è stata senza dubbio la più bella della mia vita. Ero l’unico italiano in un team tecnico di gente proveniente da diverse parti dell’Europa. Parlando tutti l’inglese, riuscivamo a capirci bene e abbiamo creato un gruppo affiatato e unito, pronti a darci una mano a vicenda in caso di difficoltà. Il nostro compito era quello di fornire assistenza tecnica agli atleti paralimpici sia riguardo le loro protesi (o carrozzine) sportive, sia per quanto riguarda le protesi che utilizzano nella vita quotidiana. Alcuni di essi, non potendo contare su tecnologie adeguate, per la vita quotidiana indossavano spesso protesi davvero scadenti, danneggiate e in alcuni casi anche più basse in altezza rispetto all’arto controlaterale, tant’è che a volte ci è toccato rifare completamente la protesi dall’inizio anziché provare a ripararla".

Progetti e breve-medio termine?

"Senz’altro crescere a livello professionale nel lavoro che ritengo essere tra i più belli ed appaganti al mondo".

Luigi Scardovi