Incentivi non dovuti . Azienda agricola condannata a risarcire 2,4 milioni di euro

Per aver ricevuto fondi sul biogas che per i magistrati non le spettavano. La sentenza è della Corte dei Conti. La Casagrande Energy dovrà. rifondere il denaro alla Gse, il gestore dei servizi energetici.

Incentivi non dovuti . Azienda agricola condannata a risarcire 2,4 milioni di euro

Incentivi non dovuti . Azienda agricola condannata a risarcire 2,4 milioni di euro

Un impianto a biogas che era stato il primo del suo genere. Il tutto all’interno di una storica azienda agricola attiva da oltre 60 anni al confine tre le province di Ravenna e Forlì-Cesena. Ma proprio quell’impianto è costato ai diretti interessati una condanna della Corte del Conti (sezione regionale) a risarcire un danno erariale di 2 milioni e 434 mila euro, soldi legati a incentivi dei quali la società – la Casagrande Energy ss – secondo i giudici contabili aveva “illecitamente beneficiato”. Sono stati chiamati in solido a rispondere sia la rappresentante legale, nata a Ravenna, che il responsabile tecnico dell’impianto, nato a Forlì. Il danno – ha stabilito la corte presieduta dal giudice Marco Catalano – dovrà essere ristorato alla Gse, il gestore dei servizi energetici. La somma che la procura contabile aveva stilato per le “incentivazioni illegittime”, ammontava a un valore ben più alto: 8 milioni e 893 mila euro. Ma su quasi la metà era calata la tagliola della prescrizione che scatta dopo cinque anni: rimanevano 4 milioni e 868 mila euro, cifra – come poi ribadito anche dai giudici nella sentenza depositata ieri – che solo in parte andava ricondotta ai due: perché questa vicenda era stata caratterizzata dal “concorso colposo” della stessa Gse la quale aveva proceduto “con molto ritardo alle verifiche e ai controlli” sulle incentivazioni effettivamente dovute. Di fatto era stata la Gse che a un certo punto aveva incaricato la Finanza per dare un’occhiata ai requisiti della società. E sulla base delle verifiche del nucleo di polizia economico-finanziaria di Ravenna, nel 2023 era partito l’atto di citazione della procura. Tutto sulla base di una data: quella di entrata in esercizio dell’impianto, come come dichiarato: 29 marzo 2013. Ciò – secondo l’accusa – aveva consentito all’azienda di potere beneficiare di norme più favorevoli rispetto a quelle via via introdotte quando in realtà tutto andava posticipato di almeno qualche mese visto che – sempre per la procura – il kit del trattamento del biogas era giunto solo il 18 aprile 2013; e solo a settembre di quell’anno la produzione sarebbe stata associata all’uso del cogeneratore, come prevede la definizione di riferimento.

I due amministratori in una memoria hanno ribattuto punto per punto facendo in primo luogo notare che a loro avviso il giudizio andava sospeso visto che davanti al Tar del Lazio, è pendente un procedimento con Gse sulla stessa materia: se la loro domanda venisse accolta, “nessuna responsabilità sarebbe ravvisabile”. In ogni caso a loro avviso l’impianto era stato “regolarmente costruito e aveva operato per 7 anni” senza che Gse avesse sollevato alcun rilievo. E poi quella struttura, costruita nel 2012, era la primo del genere e dunque di tipo sperimentale. I giudici erariali hanno precisato che pure per “il processo contabile vale il principio di autonomia”. Niente sospensione cioè in attesa del Tar. E per quanto riguarda il merito della vicenda, “l’entrata in esercizio non può certo farsi risalire al 29 marzo 2013”. Tra le altre cose, “non si ha motivo di dubitare del documento di trasporto del kit” dell’aprile 2013. Si sarebbe trattato di “condotte antigiuridiche”: non dolose ma caratterizzate da “colpa grave” manifestatasi in “un arricchimento personale come conseguenza dell’erogazione indebita”.

Andrea Colombari