Le fonti di San Cristoforo in degrado

Lo storico monumento alla base dei calanchi dell’Olmatello, inattivo da mezzo secolo, è in pessimo stato

Le fonti di San Cristoforo in degrado

Le fonti di San Cristoforo in degrado

Cadono letteralmente a pezzi le fonti di San Cristoforo. Lo storico monumento posto immediatamente alla base dei Calanchi dell’Olmatello, che gli si innalzano alle spalle con un’affascinante parete alta varie decine di metri, si presenta oggi in una condizione a dir poco pietosa. Il crollo di una parte delle coperture, le vistose crepe che solcano la struttura, la caduta di molte porzioni dell’intonaco fanno apparire il monumento prossimo al ’de profundis’. Nonostante le gargolle che decorano la struttura si presentino ancora in buono stato, a destare la maggiore preoccupazione è un notevole spanciamento della parete sul lato posteriore, dove i mattoni sporgono ormai di più di una decina di centimetri. Non se la passa meglio il serbatoio posto alle sue spalle: anch’esso appare aver vissuto tempi migliori. La fonte non è più attiva da circa mezzo secolo: l’acqua che la alimentava, nota per le proprietà curative tanto da essere commercializzata in un locale di Faenza, oggi non scorre più.

Scoperta casualmente a fine ‘400 quando qui si abbeverarono alcune pecore, sorprendentemente guarite da un malessere che le attanagliava, le acque furono valorizzate in particolare dagli studi del medico faentino Giambattista Borsieri, la cui effige non a caso campeggia sul terrazzo del vicino ristorante (insieme appunto a quelle di San Cristoforo e di Alberico Testi), struttura anch’essa ormai chiusa da decenni, così come la piccola pensione che sorge poche decine di metri più lontano, anch’essa affacciata sulla strada. Lo scenario naturale di questa porzione d’Appennino continua a ogni modo ad essere estremamente affascinante, in particolare per l’affaccio sui Calanchi dell’Olmatello (qui si è tenuto parte del festival delle Argille azzurre), costeggiati dalla strada che corre sul fondo della stretta valle per circa tre chilometri. La strada è cieca: a un certo punto si trasforma in una sterrata seguendo la quale si raggiunge il crinale che domina i calanchi.

Il luogo è silenzioso: solo qualche ciclista si avventura ormai da queste parti. Anche per questo è difficile immaginare che un tempo fosse frequentato così come documentano le foto dell’epoca, quando i faentini – tutti rigorosamente in giacca, cravatta, cappello e bastone da passeggio – raggiungevano questa spianata in folte comitive per bere le acque termali. L’epoca d’oro di questo frammento d’Appennino coincide con l’apertura al pubblico della stazione di San Cristoforo, rimasta attiva per una ventina d’anni nella prima metà del ‘900.

Filippo Donati