L’ex direttrice del Parco accusa "Botulino, nessuno ci informò Enti litigiosi, gestione difficile"

Indagata per gli anatidi morti nel 2019, l’allora dirigente palesa scontri tra istituzioni "Si poteva contenere l’avvelenamento da botulino se si fosse intervenuti dopo i primi casi".

L’ex direttrice del Parco accusa  "Botulino, nessuno ci informò  Enti litigiosi, gestione difficile"
L’ex direttrice del Parco accusa "Botulino, nessuno ci informò Enti litigiosi, gestione difficile"

C’era difformità di vedute tra gli enti coinvolti nella gestione di quell’habitat, una gestione da sempre ritenuta fonte di preoccupazione in ragione dei costi elevati degli approvvigionamenti idrici. Dopo la difesa del dirigente comunale nell’interrogatorio davanti ai carabinieri forestali, chiesto dalla Procura in fase di indagini preliminari, anche la ex direttrice del Parco del Delta del Po respinge l’accusa di inquinamento ambientale colposo per la strage di anatidi dell’ottobre 2019, uccisi dal botulino nell’oasi della Valle Mandriole, nota anche come Valle della Canna.

E lo fa con una memoria in cui il suo legale – avvocato Aldo Savoi Colombis – avanza richiesta di archiviazione "per manifesta infondatezza della notizia di reato". Se entrambi gli indagati respingono gli addebiti, vi sono sfumature diverse nella ricostruzione dei fatti, in particolare nella genesi dei rapporti tra i due enti. Se, infatti, a detta dell’ex dirigente comunale, il Parco "è gestore unico della Valle", secondo la ex direttrice dello stesso al Comune "è affidata la gestione idrica, sia perché parte del sito è di proprietà del Comune, sia per la maggior disponibilità di risorse umane e strumentali". I primi documenti di collaborazione risalgono al 2009 e dall’anno successo la Regione concesse effettivamente al Parco la gestione dei manufatti (idraulici e non) e delle acque, pur "senza alcun trasferimento di fondi finanziari". Sito di importanza comunitaria (Sic) e Zona a protezione speziale (Zps), il piano di gestione redatto nel 2012 prevedeva numerosi interventi strutturali, in gran parte "mai posti in essere in considerazione degli elevati costi che avrebbero comportato", cioè 3,8 milioni di euro, "ma anche per la dipendenza dell’approvvigionamento di acqua da altri enti", Canale Emiliano Romagnolo (Cer) e Ravenna Servizi Industriali (Rsi).

Per questo, nella prospettiva della direttrice del Parco tra 2018 e 2021, "la gestione di questo habitat ha sempre rappresentato una preoccupazione da parte di tutti gli enti coinvolti", dato che "l’approvvigionamento delle acque dolci è dipeso da immissione artificiale di acque, con costi elevati", considerando il fatto che gli attingimenti dai fiumi Reno e Lamone sono finalizzati al consumo umano e "solo in via sussidiaria" per altri scopi. La ex direttrice indagata mette in luce anche dissidi tra questi enti – Regione, Comune, Parco, Ispra, Università di Ferrara e Ravenna, Wwf – che "non hanno mai condiviso in modo unanime le scelte di gestione, determinando la difficoltà a convergere in un’unica soluzione". E fa l’esempio della "più volte invocata messa in secca della Valle, per scongiurare fenomeni di proliferazione batterica, intrapresa una sola volta in 13 anni di gestione".

L’autonomia di approvvigionamento, avvenuto in collaborazione con Rsi e Cer, "richiede interventi strutturali molto costosi". Difendendosi dall’accusa di avere agito con "negligenza e inosservanza degli obblighi", la ex direttrice ricorda i numerosi interventi del suo periodo di dirigenza. Il primo, del 2015, un progetto per migliorare l’alimentazione idraulica della Valle, non andò a buon fine "in quanto il Comune di Ravenna non ha rispettato gli accordi presi entro i termini fissati dalla Regione", così "il finanziamento di 155mila euro non è stato erogato". Nel 2018 a mettere i bastoni tra le ruote fu la Regione, "contraria a mettere in campo azioni previste nel piano di gestione". Sorprendente quanto accaduto durante l’emergenza botulino dell’ottobre 2019. La ex direttrice sostiene infatti che, circa i rinvenimenti a settembre dei primi 7 anatidi contaminati, conferiti dall’associazione Amici degli Animali all’Usl, "nessuno si è premurato di informare l’ente Parco sull’accaduto e dei risultati di laboratorio, trasferiti all’ente solo dietro richiesta e a un mese dalla prima evidenza dei fatti". Il picco dell’intossicazione si registrò a inizio ottobre, ossia 20 giorni dopo che l’esito delle analisi aveva evidenziato la presenza di botulismo. Da qui l’idea che "si sarebbe potuto contenere la portata dell’avvelenamento sei si fosse intervenuti nell’immediatezza degli esiti delle analisi, ossia il 13 settembre 2019 anziché attendere che l’avvelenamento da botulino intensificasse i suoi effetti". La dirigente contesta anche la percentuale di animali morti, 2200 uccelli ossia il 50% dell’avifauna, quando "il totale dei capi abbattuti nella stagione venatoria 2017-2018 ammonta a 10.500 unità".

Lorenzo Priviato