Linguaggio e genere, le parole hanno un peso

"Non pensavo fossi una femminuccia", "Perché ti comporti così, hai il ciclo?": frasi comuni che mostrano disuguaglianze di genere

Linguaggio e genere, le parole hanno un peso

Linguaggio e genere, le parole hanno un peso

Chi non ha mai sentito frasi come: “I maschi sono più portati per lo sport”, “Le donne sono più adatte degli uomini ad allevare i figli” , “Le donne devono occuparsi della casa”?

Sono solo alcune delle espressioni rivelatrici della disuguaglianza tra i generi. Addirittura nel dizionario della lingua italiana De Agostini alla voce “donna” si legge: “Femmina adulta dell’uomo che sa governare una casa che ama la vita domestica.” Nel 2024 sembra impensabile che le persone sostengano pensieri così sorpassati e infondati, vi è una resistenza nel riconoscere il cambiamento in atto nella società.

Sappiamo che l’uso che facciamo del linguaggio rispecchia e influenza il nostro pensiero e il nostro modo di agire, è il principale mezzo di espressione dei pregiudizi, delle discriminazioni e degli stereotipi. Non sempre ci rendiamo conto che le parole sono alla base di ciò che vogliamo comunicare e fanno male se usate in modo sbagliato.

Sono comuni nelle scritture giornalistiche e scolastiche espressioni come:“Gli uomini della preistoria”, “La storia dell’uomo” e simili che mettono l’individuo maschile alla base della narrazione di ogni vicenda umana.

Solo in tempi recenti si è cominciato a prendere in considerazione, dopo ampie discussioni, il problema di un adeguamento di lessico e di linguaggio nella comunicazione che contemplasse la presenza della donna nella società.

Il genere grammaticale maschile ha da sempre una prevalenza che rischia di ostacolare il cambiamento. Ad esempio, in un documento fondamentale come la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” proclamata nel 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, all’interno del termine “uomo” veniva data per scontata la presenza anche della donna, senza rendersi conto della mancata universalità dell’affermazione. Soltanto in tempi recenti, più precisamente nel 2008, il Parlamento europeo è stato tra le prime organizzazioni internazionali ad usare la neutralità di genere nel linguaggio dei propri documenti ufficiali. Da allora, è stato seguito da molte altre istituzioni e organizzazioni che hanno cominciato ad utilizzare accorgimenti simili.

Negli ultimi anni si è tentato di introdurre il femminile dei termini indicanti le professioni, per sottolineare proprio quella parità di genere che deve essere un obiettivo anche nel mondo del lavoro: ministra, avvocata, ingegnera stanno entrando nel lessico comune, nonostante l’obiezione sempre più spesso sollevata della ’cacofonia’, termine proveniente dal greco antico che significa ’suonar male’, di suddetti termini.

Eppure, nella lingua che usiamo tutti i giorni, non ci si concentra troppo sul suono gradevole o stridente di qualche vocabolo, bensì sulla sua utilità. Quando non è possibile declinare i vocaboli al femminile, è il simbolo della schwa a correre in nostro soccorso: questa e al contrario, una sorta di neutro linguistico, serve a non etichettare le parole con un genere preciso, mantenendo l’uomo e la donna allo stesso livello. In un mondo in cui i casi di discriminazione sono molto aumentati tra i giovani e non solo, soprattutto per quanto riguarda il maschilismo, l’orientamento sessale e le molestie, dobbiamo impegnarci a non pronunciare parole che siano veicolo di disuguaglianze e pregiudizi che possono ferire altre persone e a non vedere l’uomo come superiore o con più diritti e libertà.

Il cambiamento, dunque, parta dalla scelta delle parole da usare.

Classe 2^ A

Scuola media ‘Ugonia’

di Brisighella

Professoressa Elisa Mercatali