
Nello studio dello stilista Nicola Bacchilega l’alluvione ha addirittura impresso sul soffitto le immagini contenute in alcuni cataloghi, che l’acqua ha spinto sulle pareti, imprimendovi i colori di fotografie e disegni. Via Carboni, dove il giovane stilista faentino aveva uno studio in cui disegnava e produceva molti dei suoi abiti, è stato uno dei punti della città in cui l’inondazione della notte fra il 16 e il 17 maggio ha colpito in maniera più violenta. Da qui, in questa laterale di via Lapi, si vedeva a pochi metri lo squarcio aperto dal Lamone nel muro in mattoni di via Renaccio – nel frattempo rimosso dall’esercito, che qui ricostruirà l’argine – il quale avrebbe dovuto proteggere Faenza dalla piena, e che le acque hanno abbattuto mandandolo in frantumi. Bacchilega era riuscito ad abbandonare l’edificio alcune ore prima dell’allagamento: quando è potuto tornare, la casa – finita sott’acqua per più di cinque metri – era irriconoscibile.
"Tutto era stato divelto, quel che era in una stanza si trovava da tutt’altra parte, molti mobili sono stati sospinti dalla forza delle acque contro le pareti o il soffitto". Nicola e i suoi familiari hanno rimosso tutto quanto era contenuto nelle sale: "appariva impossibile da salvare". La ferita maggiore è quella inferta alla sua attività: "ho perso cinque macchine cucitrici, diverse centinaia di abiti, ma anche i miei cataloghi, i volumi su cui avevo studiato, i magazine nei quali i miei capi erano stati pubblicati". Dieci anni di ricerca artistica andati in fumo, cominciati quando Nicola Bacchilega era uno studente del Ballardini, e proseguiti poi a Londra e Milano, con il suo brand "defaïence" o con case di moda ai vertici dell’industria italiana e internazionale, che lo avevano portato frequentemente negli Stati Uniti. Un decennio in equilibrio fra moda e arte, con uno sguardo sul corpo dai profili immancabilmente ceramico e scultoreo, che in molti casi conduceva appunto all’impiego della maiolica o di altri materiali analoghi, plasmati fino a tramutarsi in borse, accessori e gioielli. Moda maschile ma soprattutto femminile, in un dialogo continuo fra la natura prorompente dei giovani corpi e il loro esaltarsi, confondersi, sublimarsi attraverso le stoffe. Un processo creativo al contrario, che vede lo stilista dare vita a un abito sul corpo di una modella, donandogli figura ma anche movimento – in forma di drappeggio – e lasciando le forme libere di aprire squarci sul tessuto per portare alla luce l’epidermide. In via Carboni Bacchilega non ha lasciato che una manciata di vestiti: giacche, jeans, abiti da donna che appaiono letteralmente impregnati dall’alluvione, travolti al punto da essere a malapena riconoscibili sotto uno strato di fango color grigio. I colleghi d’oltralpe gli farebbero probabilmente notare che fu proprio la cicatrice sul volto di Gaspard Ulliel a renderlo desiderato dagli stilisti, o che senza il setto nasale fratturato a colpi di boxe Jean-Paul Belmondo non sarebbe forse mai uscito dall’anonimato. "Sto provando a rialzarmi", confida Bacchilega. "Da giorni tento di salvare quanto più possibile, in particolare i modelli in carta, fondamentali per poter ricominciare. Nel frattempo ho avviato un cofounding sul web, e fra poche settimane terrò un evento pubblico dedicato appunto agli abiti che sono scampati. Voglio guardare avanti".
Filippo Donati