CARLO RAGGI
Cronaca

Massimo Padua: "Nell’arte e nella scrittura ho trovato la forza per superare il trauma della Mecnavi"

Nella tragedia del 1987 perse il padre, morto con altre 12 operai nella tragedia della gasiera ’Elisabetta Montanari’. "Ho scritto 11 libri. E dipingo, ad Alfonsine ora c’è una mia mostra".

Un filo rosso lega i molti romanzi pubblicati ai quadri su cui da tre anni ha concentrato le energie: sono le ‘crepe’ interiori che sempre si porterà dietro chi ha subito traumi. E per Massimo Padua il trauma arrivò quando aveva 14 anni, il babbo fu una delle tredici vittime del disastro al cantiere Mecnavi, il 13 marzo 1987. Cresciuto in una casa piena di libri, fin da bambino appassionato di letture, per anni si è limitato a riporre nei cassetti i racconti che andava scrivendo preferendo dedicarsi al canto prima e al teatro poi, fino al 2005 quando è uscito il suo primo romanzo, ‘La luce blu delle margherite’ scritto in appena due settimane. Da allora ne ha pubblicati altri dieci, di libri: romanzi, racconti, poesie. Un fuoco, dentro, che la scrittura qualche anno fa non è riuscita più a domare e così l’energia creativa si è incanalata anche su pennelli, colori e tele. Ma a breve uscirà un nuovo romanzo.

Quanto c’è di autobiografico nelle sue opere?

"Se prendiamo il primo libro, ‘La luce blu delle margherite’, del 2005, c’è molto di me e anche del babbo. E poi prendiamo il romanzo che dovrebbe uscire a maggio, ma che è pronto da tre anni, e che si chiamerà ‘Le creature invisibili’, protagonista per la prima volta è una donna, una giovane che sta cercando di fare i conti, dopo anni, con un disastroso terremoto a cui è sopravvissuta. E mette a nudo le crepe che tutti coloro che hanno subito traumi, e fra queste ci sono anch’io, hanno dentro e vorrebbero riparare".

Diceva che protagonista sarà per la prima volta una figura femminile…

"Sì perché finora il personaggio principale è sempre stato un uomo. E anche questo è emblematico…".

Quel filo rosso dei traumi che troviamo nei romanzi corre anche attraverso i quadri…

"Come per la scrittura così anche per la pittura agisco in modo compulsivo, devo liberarmi da un fuoco che ho dentro. I soggetti nascono spontanei, per conto loro, dal pennello, ma sono tutti molto onirici, a volte inquietanti, altre rassicuranti".

La passione della pittura quando è venuta fuori?

"Nel 2021, dopo l’ennesimo rinvio dell’editore alla pubblicazione del mio ultimo romanzo che doveva uscire ancora prima, ma c’era il Covid. A quel punto ho sentito il bisogno di disegnare, come facevo da adolescente. E non ho più smesso, disegni, acquerelli, acrilici. Poi passerò all’olio. Al momento il pennello ha messo un po’ da parte la penna, sogno immagini, anziché parole".

Peraltro è stata appena inaugurata una sua mostra, ad Alfonsine…

"Sì, a palazzo Marini, fino al 29 aprile. E’ la seconda che faccio. La prima fu nel marzo dello scorso anno, a Riolo Terme. Non le dico l’emozione, la paura di non essere all’altezza. Come accadeva anche con i romanzi, una specie di sindrome dell’impostore, del tipo… cosa vuole quello? Oltretutto non avevo mai pensato di diventare un pittore, come poi non avevo mai pensato di diventare scrittore".

Allora mi racconti un po’ gli inizi. Anzi, partiamo da più lontano, dalla sua famiglia.

"Il babbo, Vincenzo e la mamma, Grazia, erano originari della Sicilia, le loro famiglie si erano trasferite in Romagna nel 1958 e qui i miei genitori si sono sposati: nel 1960 è nato mio fratello e dodici anni dopo sono nato io. Babbo era dipendente della Mecnavi da tempo, la mamma ha sempre fatto la cuoca nei ristoranti a Marina, dove abitavamo".

Ma poi da Marina vi siete trasferiti a Mezzano…

"Ma questo è accaduto quando avevo 14-15 anni, a novembre ‘86, pochi mesi prima della tragedia. Per me fu uno sradicamento, lì a Marina avevo trascorso l’infanzia e l’adolescenza, era stato uno dei periodi più belli della mia vita, lì c’erano gli amici, i compagni di scuola, la casa piena di libri…".

Le piaceva leggere…

"La mamma era appassionata dei libri, mi raccontava che suo babbo nelle sere d’inverno era solito radunare la famiglia attorno al camino e leggeva a voce alta brani di un libro. Mamma mi ripeteva sempre che era meglio un tozzo di pane in meno e un libro in più. Un giorno mi appropriai di diecimila lire dal suo borsellino e andrai a comperare il romanzo di Peter Pan: la mamma mi scoprì e mi perdonò subito! Mi piaceva scrivere, a scuola quando c’era il tema per me era un piacere, scrivevo racconti… ho avuto insegnanti, alle elementari e alle medie, che mi hanno sempre spronato a insistere nella scrittura. E mi piaceva anche disegnare…".

Tanto che ha poi frequentato il liceo artistico.

"Ma subito mi ero iscritto al Liceo classico, spinto dalla passione per la lettura, poi ho cambiato, stimolato dalla passione per il disegno…sa, nella vita sono stato spesso in bilico fra due opzioni, quasi una costante…".

Un passo indietro, come seppe della tragedia alla Mecnavi?

"Ero nel campetto di pallavolo della scuola, a Marina. Come dicevo, ci eravamo già trasferiti a Mezzano, ma io continuavo a frequentare la media a Marina dove peraltro abitava mio fratello maggiore. Arrivò la mamma in auto con altri parenti, intuii subito che c’era stata una disgrazia…fu un grosso trauma per me, che si aggiungeva allo sradicamento da Marina…",

Cosa ricorda di quei giorni? "Ho dei flash, non volevo sapere, non volevo capire e comunque non se ne parlava, era quasi un argomento tabù. Ricordo le tredici bare, Nilde Jotti, l’omelia dell’arcivescovo Tonini, con la sua celebre frase ’gli uomini come topi’…Un periodo nero, per di più al liceo classico non mi trovavo bene, troppa disciplina, troppa rigidità, per fortuna al liceo artistico cambiò tutto, ritrovai me stesso, la mia dimensione, scrivevo racconti durante le lezioni, tutti tenuti rigorosamente nel cassetto".

E dopo il diploma?

"Mi iscrissi al Dams, smisi di scrivere e cominciai a cantare, mi aveva notato un ragazzo a un karaoke, c’era anche la mamma, ci andavamo spesso. Fu così che entrai in un complesso da piano bar, sempre in giro sui lidi, dal Ferrarese alle Marche, io cantavo testi in inglese. Un lavoro, fatto per sei anni, poi nel 2000 interruppi, mia madre stava male, morì di lì a breve. Dopo qualche tempo sono passato al teatro con la Compagnia delle Feste di Faenza. Sempre parti da protagonista…".

Il ritorno della scrittura era però in agguato…

"Mi trovai davanti agli occhi più volte un bando per il premio ‘Opera prima città di Ravenna’, casa editrice Fernandel. In due settimane scrissi il romanzo, ‘La luce blu delle margherite’. Incredibilmente vinsi. Era il 26 settembre 2005, giorno del mio compleanno, 33 anni. Avevo messo a nudo me stesso, nelle presentazioni mi ritrovai a parlare, con difficoltà, della tragedia della Mecnavi: è stata però una provvidenziale terapia d’urto".

Fu l’inizio dell’avventura letteraria…

"In quindici anni sette romanzi, due raccolte di poesie, due racconti. Un successo incredibile, anni luce lontano dal mio orizzonte. In quegli anni oltre a scrivere ho curato collane, ho fatto l’editor, ho anche fondato una casa editrice, Boras edizioni. Dei due romanzi scritti nel periodo del Covid uno, come le dicevo, uscirà a maggio".

Nel frattempo è arrivata la pittura.

"Il Covid non permetteva presentazioni, quindi quei due romanzi restarono bloccati. Ma io non potevo rimanere fermo, il fuoco che è sempre dentro di me prese il solito sopravvento e mi mise in mano i pennelli. E ora, ecco la mostra ad Alfonsine, dove peraltro abito da tempo: ha lo stesso titolo del romanzo di prossima uscita, ’Le creature invisibili’".