Molducci, la perizia: "Morte non collegata ai farmaci assunti". Sconfessate le analisi

Decesso dovuto a scompenso cardiocircolatorio, ma esclusa l’ipotesi dell’intossicazione. "Benzodiazepine in concentrazione terapeutiche".

Molducci, la perizia: "Morte non collegata ai farmaci assunti". Sconfessate le analisi

Molducci, la perizia: "Morte non collegata ai farmaci assunti". Sconfessate le analisi

Era morto all’improvviso nella sua abitazione per uno "choc cardiogeno" associato a un "edema polmonare acuto" e a "uno scompenso cardiocircolatorio". Inoltre abusava in modo "cronico di benzodiazepine". Ma soprattutto "non sono disponibili dati "idonei a ritenere che il decesso sia correlato a intossicazione acuta da xenobiotici", cioè sostanze tossiche, "comprese le benziodiazepine e l’amlodipina", farmaco quest’ultimo usato per l’ipertensione.

Le conclusioni degli esperti nominati dalla corte d’assise di Ravenna, hanno in larga parte sconfessato quelle delineate dalla consulente dell’accusa circa la morte del dottor Danilo Molducci, storico medico di Campiano scomparso a 67 anni il 28 maggio 2021 in casa sua. Alla sbarra figurano in concorso per omicidio aggravato, il figlio del defunto, il 40enne Stefano Molducci di Terra del Sole (avvocato Claudia Battaglia). E la 52enne colf romena Elena Vasi Susma (avvocato Antonio Giacomini). Secondo le indagini coordinate dal pm Angela Scorza, il 40enne avrebbe pianificato il delitto con quegli stessi farmaci che il padre, allettato e segnato da varie patologie, già assumeva. E la 52enne avrebbe acquistato le medicine, usando anche ricette contraffatte, per poi somministrarle al 67enne. Movente: la paura di essere estromesso dalla gestione dei conti.

Ma i periti Alberto Salomone, tossicologo forense dell’università di Torino, e Paolo Fais, specialista in medicina legale, hanno sconfessato lo studio che aveva alimentato i dubbi circa un uso tossico di farmaci: la morte del 67enne "non può ritenersi collegata alla concentrazione di amlodipina e benzodiazepine". Inoltre, a escludere altri scenari, "non sono disponibili dati idonei a ritenere" che "al momento del decesso fossero presenti concentrazioni differenti rispetto a quelle identificate sui campioni cadaverici".

In particolare i due medici hanno puntato il dito sulla metodica, bollata come "inidonea", con la quale era stata determinata l’amlodipina, "identificata e quantificata soltanto a seguito di preciso quesito formulato circa un anno dopo l’autopsia". Le modalità impiegate "risultano in un primo momento scorrette": un errore che "ha implicato la necessità di eseguire ulteriori analisi" un anno dopo: una "tempistica scorretta" alla luce della "instabilità dell’amplodipina su campioni cadaverici". In definitiva non sono stati "soddisfatti i criteri metodologi necessari per l’acquisizione di un dato analitico soddisfacente". E dunque non è possibile stabilire in "maniera accurata" la concentrazione di amlodipina nel medico subito dopo il suo decesso. In quanto alle benzodiazepine, "rientravano nei cosiddetti intervalli terapeutici".

Per capire la portata delle conclusioni della perizia, è bene ricordare quelle che invece erano state le conclusioni della consulente dell’accusa: ovvero nel sangue del 67enne era stata determinata una concentrazione di diazepan (benzodiazepina) più di tre volte maggiore di quella attesa. Per il nordiazepan (bezodiazepina), il valore riscontrato era stato di quasi sette volte. Una combinazione che avrebbe dispensato effetti tossici tra alterazione delle funzioni cognitive, sonnolenza, confusione e debolezza. In quanto all’amlodipina, erano state tratteggiate concentrazioni superiori tra quattro e 16 volte al range terapeutico.

A questo punto tutti pronti a discutere il caso a inizio giugno, con sentenza a seguire.

Andrea Colombari