ALESSANDRO IANNUCCI*
Cronaca

"Parte del nostro patrimonio culturale". Gli antichi lo chiamavano ‘recinto sacro’

L’intervento di Alessandro Iannucci, professore del Dipartimento di Beni Culturali: "Il loro è un valore simbolico e identitario"

"Parte del nostro patrimonio culturale". Gli antichi lo chiamavano ‘recinto sacro’

"Parte del nostro patrimonio culturale". Gli antichi lo chiamavano ‘recinto sacro’

Archeologi e storici del mondo classico – ma si potrebbe dire lo stesso di altre culture più o meno lontane nel tempo e nello spazio – conoscono solo in modo approssimato i monumenti dell’epoca che studiano. Il tempo e i suoi principali attori, gli uomini, hanno in gran parte distrutto quello che i loro predecessori avevano creato. Certo, la natura ci mette sempre del suo: terremoti, incendi e carestie hanno contribuito alla caduta dei regni micenei – quelli degli eroi protagonisti della guerra di Troia – e alla scomparsa di gran parte dei loro palazzi probabilmente più dell’arrivo di invasori. Secoli di studi, l’analisi di tracce, il confronto con i testi letterari ed altri documenti consentono di ricostruire, almeno in parte, e visualizzare quelle vestigia del passato. E attraverso di esse conoscere culture, tradizioni, mentalità altrimenti perdute. E i turisti si affollano a visitare ruderi e cumuli di marmi adagiati sulla terra, scavi in cui poche pietre suggeriscono la presenza di una casa, di un tempio, di una cisterna per la raccolta dell’acqua. E’ il fascino delle rovine che, almeno dall’epoca del Gran Tour, trasforma il nostro senso estetico e l’incompiutezza diventa canone di bellezza. Le torri Hamon, quanto meno, si conserveranno attraverso una ricca documentazione fotografia. Un recente progetto finanziato dall’Unione Europea e guidato dal Comune di Ravenna (www.darsenaravenna.it) ha consentito di recuperare e preservare nel tempo la memoria culturale di un distretto che ha segnato la storia non solo della città ma dello sviluppo industriale del paese. Nel bene e nel male, le torri Hamon, come si è da più parti invocato, sono parte del paesaggio urbano e monumentale e non solo per il ruolo iconico che svolgono nel film Il deserto rosso di Antonioni. All’immagine celebre di Monica Vitti in posa e straniata con il suo cappotto green sullo sfondo delle torri di raffreddamento Hamon da cui fuoriesce un fumo grigio e aspro, se ne accompagnano molte altre dove non è questo tipo di algida bellezza a spiccare per contrasto come coscienza critica nei confronti di tutti i mali del progresso, ora ben noti, e in particolare dell’industrializzazione. Alcune delle fotografie ritrovate nel corso del progetto cui si accennava, ed ora pubblicamente disponibili, mostrano alcune donne in posa e allegre di fronte alle stesse torri ‘svasate’ verso il basso, notevole invenzione ingegneristica dell’inizio dello scorso secolo dei fratelli Hamon per la ditta Kuypers. Queste giovani donne raccontano la gioia della modernità e dell’urbanizzazione; la possibilità di case con l’acqua corrente e il riscaldamento, di elettrodomestici, di famiglie autonome e indipendenti e di una diversa condizione femminile rispetto alla società agraria e patriarcale da cui provenivano. Anche per questo le torri Hamon dovevano, devono essere salvate; non solo per la possibilità di conoscenza o per il loro utilizzo museale (una passeggiata in Darsena a Ravenna, per quanto possa sembrare paradossale, vale almeno quanto un analogo percorso lungo i Fori imperiali, perché l’archeologia industriale suggerisce temi e pensieri più vicini alle nostre emozioni rispetto al racconto del potere di Cesare o Augusto), ma soprattutto per il loro valore simbolico e identitario. Gli antichi per questa idea avevano una parola, temenos che significa ‘recinto sacro’, lo spazio consacrato alle divinità e agli eroi della città. Il luogo della memoria culturale. Ed è proprio da questo valore di sacralità, di inviolabilità e di spazio dedicato a un’intera comunità, da rispettare e tramandare alle generazioni future, che sembra nascere quel concetto di ‘patrimonio culturale’, oggi normato dall’art. 9 della Costituzione, eppure trascurato nell’attività di demolizione in corso. Il distretto industriale della Darsena di città, da quando si sono fermate le attività produttive, ha infatti iniziato a svolgere questa funzione di ‘patrimonio’ che nel tempo ha ottenuto quella forma di riconoscimento pubblico al centro del dibattito di questi giorni. E le torri Hamon, loro malgrado, erette e fiere, vi hanno sin qui svolto un ruolo cruciale, quasi di sentinelle. Non consola il fatto di averle documentate, di averne già fatto una ricostruzione n 3D e di essere in grado di riferire ogni cosa intorno ad esse, contrariamente a quanto gli archeologi possono fare per un monumento antico. Preoccupa il segnale che deriva dalla loro demolizione, come tanti altri in questi anni che fanno della Darsena una delle più grandi occasioni perdute di una città stretta intorno ai suoi monumenti Unesco e al poco distante centro storico come in una decadente poesia di D’Annunzio.

(*) Dipartimento Beni Culturali (Università di Bologna, sede Ravenna)