
Tra i motivi di tensione l’uso della giovane del cellulare del patrigno a scuola
Questa vicenda giudiziaria sfata due luoghi comuni. Ovvero che un uomo accusato di maltrattamenti su una donna, venga sempre condannato. E che di fronte a una richiesta di rinvio a giudizio della procura, un gup decida sempre di mandare a processo l’imputato. Nel nostro caso il protagonista della vicenda - un ultra50enne del comprensorio cervese - ha infatti incassato un non luogo a procedere a fronte della richiesta di processarlo per maltrattamenti pluriaggravati (dai futili motivi e dall’avere agito su minorenne) nei confronti della figlia della compagna.
Perché, secondo il pm Marilù Gattelli, aveva maltrattato la minore attraverso frequenti violenze verbali che si sviluppavano a partire da un tema principale: l’amicizia con una giovane ritenuta problematica. Altre critiche - prosegue l’accusa - arrivavano quando lei prendeva i trucchi della madre e quando si vestiva in modi ritenuti non appropriati. Con un paio di episodi sfociati in sberle: quando una volta alle elementari lei avrebbe portato il cellulare del patrigno a scuola. E, nell’aprile del 2023, quando avrebbe manifestato l’intenzione di cenare da sola.
Il gup Corrado Schiaretti, con motivi della decisione depositati nelle scorse settimane, nella sua disamina è partito dalla "lettura del capo d’imputazione" capace di delineare "in modo piuttosto fedele l’esito delle indagini preliminari" senza "significative implementazioni". Dalle carte emerge che il procedimento era scattato da una segnalazione dei servizi sociali competenti datata fine giugno 2023. A sua volta il documento si rifaceva a un’informativa di qualche giorno prima di un centro educativo frequentato dalla giovane. Ovvero secondo la ragazza - seguita nel contesto di un percorso di sostegno alla genitorialità -, il patrigno avrebbe iniziato a offenderla e a dirle che non poteva uscire. Il tutto - sempre secondo la minore - era sfociato in uno schiaffo che le aveva lasciato un livido in faccia. In particolare una sera a detta di lei, l’uomo si era arrabbiato perché avrebbe voluto magiare in camera da sola: erano volate stoviglie e offese. Quella tensione avrebbe avuto una origine ben precisa: le cose in casa erano cioè peggiorate da quando lei aveva iniziato a frequentare una sua amica non ben vista.
In quanto all’imputato, difeso dall’avvocato Enrico Ferri, sia davanti alla polizia che attraverso una memoria difensiva, aveva negato di avere mai maltrattato la minore: nessuna molestia, minaccia o violenza. Per lui anzi quella ragazzina era come una figlia. L’uomo aveva anche messo in luce criticità comportamentali di lei compresi alcuni gesti autolesionistici: e la frequentazione di quella sua amica proveniente da una situazione familiare problematica, aveva contribuito a fare degenerare la situazione. In merito all’episodio più violento, sarebbe stata la minore a tentare di aggredire i genitori scaricando su di loro la "rabbia che covava contro il modo intero". E in quanto ai segni sul viso, sarebbero affiorati perché era solita strofinarsi in faccia in maniera energica.
In ogni modo, il gup ha condiviso quanto "dedotto dai verbalizzanti della squadra Mobile" secondo cui "dalle dichiarazioni della minore non si ravvisano agiti maltrattanti subiti dalla medesima in ambito familiare e, nello specifico, dal patrigno". Il quadro emerso, è semmai quello di "un’adolescente problematica e oppositiva" verso la quale il patrigno al massimo si era "rivelato poco adeguato a svolgere una funzione di tipo genitoriale". Ma a fronte di due contestati episodi di "moderata forma di violenza", la "maggior parte della convivenza si è svolta in termini di ordinaria normalità" con "una esplosione di litigiosità nel periodo adolescenziale". Sotto il profilo tecnico, i maltrattamenti devono essere caratterizzati "dalla ripetitività dei fatti". E cioè serve una "condotta abituale: fatti episodici", e come nel nostro caso "assolutamente infrequenti, non integrano il delitto di maltrattamenti".
Andrea Colombari