"Spiava il cellulare di lei". Condannato l’ex marito

Sei mesi per illecita interferenza. L’allora consorte si era accorta di tutto dopo avere portato il telefonino in un centro tecnico per accertamenti.

"Spiava il cellulare di lei". Condannato l’ex marito

"Spiava il cellulare di lei". Condannato l’ex marito

Quello che era riuscito a installare, era secondo l’accusa, un programma in grado di spiare tutto quello che entrava o usciva dal cellulare di lei, chat comprese. In fondo un timore di molti, specie all’interno delle coppie che scricchiolano. Un timore che nel tardo pomeriggio di ieri per il protagonista di questa singolare vicenda - una ultra-sessantenne di Ravenna -, si è tradotto in una condanna a sei mesi di reclusione (con pena sospesa e non menzione). Alla donna - parte civile con gli avvocati Danilo Manfredi e Giorgia Toschi-, il giudice Tommaso Paone ha riconosciuto una provvisionale di 5.000 mila euro. Il danno, quantificato dagli avvocati della donna in 20 mila euro, verrà eventualmente calcolato in sede civile.

Di quell’escamotage spia, la donna, una ultra-quarantenne pure lei ravennate, si era accorta grazie al tecnico del negozio di elettronica a cui si era rivolta. I sospetti alla fine erano ricaduti sull’allora consorte, da cui si era poi separata. All’uomo, difeso dagli avvocati Claudio Cicognani ed Enrico Piraccini, era stato poi notificato un decreto penale di condanna (4.500 mila euro di multa) per interferenza illecita nella vita privata: aveva però scelto di opporsi per esporre le proprie ragioni in aula.

Il caso era venuto a galla a metà febbraio 2018 quando la donna, temendo che qualcuno potesse avere il controllo del suo cellulare, si era presentata in questura per una prima querela contro ignoti. Il giorno dopo erano maturati altri sospetti: in particolare il computer portatile di famiglia conteneva qualcosa di strano: una sorta di programma spia capace di raccogliere sia messaggi che foto scambiate con il cellulare tramite l’applicazione Whatsapp, compresa la geolocalizzazione (la posizione esatta) dell’apparecchio. Ecco che lei aveva deciso di rivolgersi a un centro specializzato. Dal tecnico, la conferma: si trattava proprio di un programma spia collegato al suo telefonino almeno dal 2015, a detta dell’esperto. Lei aveva allora chiesto di bloccare immediatamente quel tipo di accesso e aveva lasciato tutto in negozio per poi rincasare. Quando il marito era tornato, aveva subito notato che il portatile non era più nell’abitazione: e, secondo la donna, quando lei gli aveva spiegato di averlo portato a riparare a causa di un malfunzionamento legato all’uso di un programma, lui aveva avuto una reazione di rabbia ed era subito andato al centro riparazioni per recuperarlo.

Ma una volta qui, il dipendente non glielo aveva riconsegnato dato che non era stato lui a portarlo: la conseguente discussione, aveva fatto scattare l’intervento di una Volante della polizia. Tutto poi messo nero su bianco dalla donna in una seconda querela: contro il marito.

Andrea Colombari