
In aula parlano le difese dei secondini alla sbarra per i fatti del 3 aprile 2023 "Si è ricorsi alla forza in modo legittimo, senza volontà di infliggere sofferenza".
Un video mostrato in tribunale per dimostrare che le mosse fatte dagli agenti della polizia penitenziaria per immobilizzare un detenuto, per le quali ora sono a processo con l’accusa a vario titolo di tortura e lesioni (oltre a falso nelle relazioni stilate sull’episodio), sarebbero state in linea, "identiche", rispetto a quanto si insegna loro durante i corsi di addestramento. Il filmato riporta il calendario 2025 della penitenziaria, al centro di una recente polemica politica per le sue immagini ed è stato mandato in onda ieri in tribunale davanti al giudice Silvia Guareschi. Per i dieci imputati col rito abbreviato il pubblico ministero Maria Rita Pantani ha chiesto la condanna, la più alta a 5 anni e 8 mesi, per i fatti del 3 aprile 2023 dentro la Pulce, verso un tunisino che fu incappucciato, denudato e portato in cella dopo essere stato sanzionato per violazioni del regolamento carcerario e che, secondo le difese, si sarebbe invece dimostrato molto aggressivo.
L’avvocato Luigi Marinelli, che assiste un agente 27enne, ha rimarcato come l’operazione di messa a terra del detenuto sia stata fatta a suo dire in modo regolare. Ha domandato l’assoluzione, ai sensi delle norme dell’ordinamento penitenziario sull’uso della forza in situazioni di pericolo e del codice penale in quanto adempimento di un dovere impartito da un’autorità e ritenuto legittimo, escludendo dunque la punibilità. In subordine, la riformulazione del reato di tortura nella parte in cui si prospetta il caso di sofferenze risultanti solo dall’esecuzione di legittime misure limitative di diritti. Al massimo "vi fu un eccesso colposo nell’uso della forza, perché la situazione fu frutto dell’ambiente stressante in cui gli agenti operano, tra carceri sovraffollate e scarsità di fondi". Per un 51enne, l’avvocato difensore Nicola Tria ha sostenuto che la fattispecie di tortura va riconosciuta per questi fatti: "Si è ricorsi alla forza in modo legittimo e in esecuzione dell’ordine legittimo della direttrice di portare il detenuto in isolamento. Vi è stato qualche eccesso o sbavatura – ha detto il legale – che sono tutt’al più inquadrabili come percosse o abuso di autorità, ma non vi furono torture e neppure la volontà di infliggere in qualche modo sofferenza".
Ha rimarcato che a essere problematico è il sistema penitenziario nel suo complesso, anche a causa della mancanza di risorse. E si è soffermato per un attimo anche sul ministero della Giustizia, in passato citato come responsabile civile, che poi si è presentato chiedendo di essere escluso – domanda accolta dal giudice – e che non compare quindi tra le parti". L’avvocato Pier Francesco Rossi ha descritto il proprio assistito 28enne come vittima, perché entrato in scena quando era già stata presa la decisione disciplinare e il detenuto aveva provato a colpire i colleghi con una lametta, sputato verso di loro, già sgambettato e finito a terra.
All’imputato venne dato ordine di svestirlo dando una mano a un collega a seguito di un ordine dato e al timore che il detenuto potesse avere lamette addosso: "Il mio assistito non lo ha mai colpito". Ha richiamato i consulenti della difesa, i docenti universitari Giuseppe Sartori di Padova e Pietro Pietrini di Lucca, secondo cui il detenuto non ebbe mai sofferenza psicologica: invece avrebbe voluto provocare solo per essere trasferito da Reggio. Nella prossima udienza di gennaio concluderanno le difese; repliche e sentenza sono slittate a febbraio. Alessandra Codeluppi