NOI RIMINESI

La testimonianza di un lettore svela la fragilità del sistema sanitario durante la pandemia, ma offre una luce di speranza sul funzionamento del Cau rispetto al pronto soccorso.

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E’ raro ricevere lettere come la sua. Di solito la posta elettronica dei giornali tracima rabbia o rassegnazione, ma a dispetto di quello che molti pensano, ai giornalisti piace dare buone notizie. Soprattutto quando si parla di sanità, uno dei settori che in questi anni ha subito un vistoso arretramento della qualità dei servizi.

La pandemia ha messo a nudo la fragilità del sistema, e a sorpresa quello che è venuto dopo è stato ancora peggio. La sua testimonianza è la palese dimostrazione che la politica si alimenta di contrapposizione senza quasi mai entrare nel merito.

Non siamo in grado di dire che il Cau – acronimo decisamente infelice – funzioni meglio del pronto soccorso, ma se il suo racconto è fedele, si tratta di un esperienza che si avvicina al miracoloso. Nello medesimo tempo, in qualcunque struttura ospedaliera, avrebbe dovuto piantare le tende prima di ricevere

lo stesso trattamento. Non per colpa dei medici, sempre meno

ùe sottopagati, ma per un sistema macchinoso e ingessato,

che allunga i tempi e appesantisce le procedure. Il Cau è meglio? Speriamo di non doverlo scoprire sulla nostra pelle, ma il suo resoconto è consolante.