CARLO CAVRIANI
Cronaca

Una vita controccorrente. Panzini, l’arma dell’ironia: "Ecco perché l’Italia sta sullo stomaco ai vicini"

Intellettuale arguto, con il culto dei classici ma affascinato dalla modernità. Ha scritto per il Carlino dal 1912 al 1924, i suoi 90 articoli raccolti in un libro. "La guerra? Siamo un popolo incapace di odiare, al limite ci odiamo tra noi".

Una vita controccorrente. Panzini, l’arma dell’ironia: "Ecco perché l’Italia sta sullo stomaco ai vicini"

Una vita controccorrente. Panzini, l’arma dell’ironia: "Ecco perché l’Italia sta sullo stomaco ai vicini"

Alfredo Panzini fa parte di quei grandi scrittori e giornalisti le cui riflessioni, anche se risalgono a un secolo fa, appaiono estremamente attuali. "L’Italia, da quando dai frammenti di sette piccoli Stati, innocui, diventò unità statale, pesa sullo stomaco dei nostri vicini, tanto di destra, quanto di sinistra. E perché? Perché in questa piazza d’armi, o mercato di litigi, chiamata Europa, noi abbiamo una posizione strategica: siamo nel mezzo!... Quando i grandi personaggi d’Europa vengono in Italia, dicono: ‘Vostra bella Italia! O, cari amici, alziamo insieme il bicchiere dell’amicizia!’ Ma quando noi domandiamo ’Cari amici, aiutateci un po’...’’, si fanno di nebbia".

Per il Resto del Carlino, lo scrittore romagnolo ha firmato 90 articoli, tra il 1912 (quando ad occuparsi della terza pagina c’era Mario Missiroli e sulla testata bolognese scrivevano Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini e Ardengo Soffici) e il 1924. Gli articoli ora sono stati tutti raccolti nel bel libro “Alfredo Panzini: fantasmi e persone. Un intellettuale controcorrente nel secolo della terza pagina” (curatore Claudio Monti, editore Biblion). Volume presentato a Bellaria in occasione dell’anniversario per i 160 anni dalla nascita dello scrittore romagnolo. Celebrazioni che proseguiranno anche l’anno prossimo con mostre, premi e convegni. Il libro contiene numerose novità, come i carteggi, fino a oggi inediti, con Arnoldo Mondadori (che arriverà a proporre a Panzini di lasciare l’insegnamento per dedicarsi "per intero e unicamente alla Mondadori").

Panzini è stato un gigante della cultura. Nel suo famoso “Dizionario moderno“ definiva gli intellettuali: "Coloro che vanno distinti per uso e raffinatezza di cultura: non si esclude talora con un lieve senso ironico, quasi che queste facoltà intellettuali valgano a separarli come uomini eletti dalla comunità". Lui era così, orgoglioso di essere accademico d’Italia ma anche attaccato alla terra, vicino ai contadini, nemico degli sprechi. Contrario alla guerra, durante il primo conflitto mondiale diceva a proposito degli italiani. "Siamo un popolo altamente cavalleresco, sentimentale e liberale. Ma non siamo capaci di odiare, nel più disperato dei casi ci odiamo tra noi". Profondamente innamorato della Romagna e della sua gente ne evidenziava ogni sfaccettatura: "Rivoluzionari solo nelle parole un po’ gonfie, ma gente intimamente pacifica e forse conservatrice".

Panzini era nato a Senigallia il 31 dicembre 1863 da Emilio, medico condotto, e da Filomena Santini. Poi l’adolescenza trascorsa a Rimini, gli studi tra Venezia e Bologna. E quel legame profondo con Bellaria costruito nei tanti anni di villeggiatura estiva alla Casa Rossa. "Buonissima gente, cortese e servizievole senza servilismo. Voi sbarcate a Bellaria e siete accolti come se vi foste lasciati il giorno prima".

Nei 50 anni che dal Carducci, attraverso D’Annunzio, vanno ai surrealisti e agli ermetici, Panzini ha visto attorno a sé fiorire e cadere molte mode. È stato uno di quegli scrittori apprezzati e riconosciuti già in vita. Ad un certo punto bastò dire "Panzini" o "panziniano", per fare riferimento a un mondo e uno stile. Era uno scrittore originale, è stato un classicista e allo stesso tempo curioso della vita contemporanea. "Io non sono fascista, perché il fascismo è socialismo", così scrisse a Prezzolini proprio nel 1922. Amava viaggiare, una passione espressa in uno dei suoi libri più famosi: "La lanterna di Diogene". Era un classicista con sensibilità moderne e un moderno che conservava il ricordo degli antichi. Da questa contaminazione, forse, quel particolare umorismo, cifra stilistica di tutta la sua opera.