
PISA
Una catena umana da Pisa all’Ucraina. Non solo metaforica ma anche concreta. Oltre duecento persone sono scese ieri mattina in piazza XX Settembre per manifestare contro la guerra. A fianco della comunità degli ucraini-italiani c’era anche il primo cittadino, Michele Conti che ha subito espresso parole di amicizia e solidarietà: "Ribadiamo la nostra vicinanza al popolo ucraino che in queste ore è vittima di un conflitto terribile. Ci auguriamo che la diplomazia faccia la sua parte per mettere fine al più presto alla guerra che colpisce l’Europa come non accadeva dal secondo conflitto mondiale. Pisa è pronta a fare la sua parte offrendo aiuto alla popolazione ucraina e accogliendo i profughi attivando le reti di accoglienza cittadine".
In piazza si canta l’inno ucraino con la mano al petto. Ma ci si organizza anche, per dare un sostegno concreto. Alla guida della gestione degli aiuti da inviare nelle zone di confine è un giovane, Igor Chernai. Tutti si rivolgono a lui, lo ringraziano. Il primo punto di ritrovo è stato ieri pomeriggio alle 14 dal piazzale dell’Esselunga: una carovana di auto piene di generi alimentari, vestiario e medicinali partita alla volta di Firenze, dove tutto verrà caricato su autobus destinazione Ucraina.
Intanto le bandiere blu e gialle inondano piazza XX Settembre e avvolgono i corpi. I volti abbattuti e solcati da notti insonni e lacrime implorano il sostegno dell’Italia e dell’Europa per arrestare il conflitto. "Mia suocera ha cucito per noi questa bandiera" racconta Inna Bovt, mentre la stringe tra le mani. Parte della sua famiglia vive a Kharkiv, uno dei fronti più caldi del conflitto russo-ucraino. "Mio fratello si è nascosto con la sua famiglia in un rifugio antiaereo. La sua bambina è diabetica ed è rimasta senza medicine. La città è dilaniata dal fuoco nemico e siamo preoccupati per la loro vita, ma anche per il futuro. Quando la guerra sarà finita cosa faranno? Dove andranno?", spiega in un racconto-fiume spezzato dal pianto. Anche il figlio di Inna si trova a Kharkiv. "Mamma vado a combattere per liberare il nostro Paese", le ha detto ieri al telefono. Dalle parole del figlio trapelava il coraggio dei suoi 24 anni. Inna ha anche una figlia che vive a Odessa insieme al marito. Anche la città-snodo strategico sul Mar Nero è stata presa di mira dal fuoco russo. "Lavorano entrambi in una raffineria di petrolio. E nonostante le bombe non possono fermarsi – commenta Bovt –, perché la produzione non può subire interruzioni". Gli smartphone sono il filo diretto con il fronte "e quando la linea è interrotta manca il fiato", afferma disperata Katia Mironenko.
"La mia famiglia – spiega – vive al confine con la Russia, nella città di Sumy, e per giorni ha vissuto nel terrore con gli invasori alle porte. Il nemico ora è in città e già due palazzine sono crollate nei bombardamenti. Mio padre, i miei nonni e cugini si stanno nascondendo nei rifugi". "Mia madre e mia sorella, invece, vivono dall’altra parte del confine, in Russia – aggiunge Katia –. Non sanno quando potranno tornare in Ucraina e come saranno viste. Il marito di una collega di mia sorella è stato costretto ad arruolarsi ed è stato inviato al fronte. È costretto a combattere contro un popolo che fino al giorno prima era suo amico. Questo è il paradosso della guerra".
Ilaria Vallerini