Tumore ovarico, 3.500 donne in terapia in Emilia Romagna

Al via la campagna informativa con l'attrice Claudia Gerini in veste di testimonial. Fondamentali i controlli ginecologici regolari anche dopo la menopausa

Claudia Gerini, testimonial della campagna sul tumore ovarico

Claudia Gerini, testimonial della campagna sul tumore ovarico

Bologna, 29 gennaio 2021 - In Emilia Romagna 3.500 donne convivono con il tumore ovarico. Al via la campagna “manteniamoci informate!” che fa tappa nelle province emiliano romagnole, dove sono poco meno di mezzo migliaio ogni anno i nuovi casi. Obiettivo dell'iniziativa, promossa da Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra, con il sostegno incondizionato di GSK, è raccontare i progressi nella ricerca e di terapie che migliorano la sopravvivenza e la qualità della vita, e la conoscenza dei test molecolari che permettono di accedere al trattamento appropriato. L'iniziativa è accompagnata dai video che vedono l'attrice Claudia Gerini in veste di testimonial, video consultabili sul sito web www.manteniamociinformate.it e sui profili Facebook e Instagram della campagna. In Italia ogni anno oltre 5.200 donne ricevono una diagnosi di tumore ovarico, sono tante quelle che guariscono con la chirurgia e le terapie oncologiche, ma nell'80% dei casi la malattia viene diagnosticata in fase avanzata. Oggi pero lo scenario si evolve e una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le pazienti di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia e che si sono dimostrate efficaci.

“Uno dei progressi più importanti- spiega Stefania Gori, presidente Fondazione AIOM e direttore del Dipartimento oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar Valpolicella, Verona - è la possibilità di utilizzare, in fase di mantenimento dopo la chemioterapia, terapie orali con i PARP inibitori, che hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione BRCA. Finalmente adesso i PARP inibitori possono essere utilizzati anche nelle pazienti senza mutazione (il 75%) che fino a poco tempo fa avevano poche alternative terapeutiche”.

"I tumori dell'ovaio nasce direttamente dalle ovaie o dalle tube, o qualche volta addirittura dal peritoneo in maniera subdola- spiega Claudio Zamagni, direttore dell'Oncologia medica Addarii del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna - quindi raramente danno sintomi precoci e 3 volte su 4 vengono scoperti quando invadono il peritoneo e la cavità addominale. In mancanza di screening per la diagnosi precoce, è fondamentale eseguire frequenti controlli dal ginecologo anche quando, dopo la menopausa, si tende ad abbassare la guardia. Pierandrea De Iaco, direttore Oncologia Ginecologica presso il Sant'Orsola-Malpighi di Bologna raccomanda di "sottoporsi periodicamente all'ecografia pelvica transvaginale, “un esame - sottolinea De Iaco- in grado di individuare eventuali cisti ovariche o masse”. “Se la donna presenta familiarità si deve procedere con l'esame CA 125 del sangue, un marcatore che del tumore ovarico. Recentemente è comparso anche un altro marcatore, He4. Una volta diagnosticata la malattia la stadiazione viene condotta una TAC total body.

"Loto Onlus - ha dichiarato la presidente, Sandra Balboni - è vicina alle donne. Come associazione siamo presenti nei migliori centri specializzati nella cura del tumore ovarico, tra cui naturalmente il Policlinico S.Orsola di Bologna. Solo in questo modo abbiamo la possibilità di prendere concretamente le donne per mano, spiegare, accompagnarle nel percorso di cura ed essere attive sul territorio con iniziative di informazione e sensibilizzazione. È vero, il tumore ovarico resta uno dei tumori femminili più aggressivi, ma lo scenario è in evoluzione grazie alle innovazioni nelle tecniche chirurgiche e nelle terapie e le pazienti devono saperlo". La possibilità di eseguire il test genetico per identificare se si è portatrici di una mutazione BRCA1-2 è essenziale, in primo luogo per le persone che non hanno ancora sviluppato la malattia ma hanno una forte familiarità. In questo caso il test può indicare con un certo margine di certezza statistica ma molto significativa, la probabilità delle donna di ammalarsi in futuro e, quindi, anche la possibilità per altre persone della famiglia di accedere al test. Nel caso invece la donna sia già malata, sapere se la tipologia di tumore ovarico che ha sviluppato è legata a mutazione BRCA oppure no, può addirittura indirizzare la migliore scelta terapeutica. "Quindi, in ogni caso - avverte la referente emiliano romagnola di aBRCAdabra, Daniela Patanè - sia in presenza che in assenza di familiarità, un test genetico è sempre la migliore soluzione e dovrebbe essere consigliato sempre e richiesto dal ginecologo o dall’oncologo".