Addio alla pizzeria Totò, il nome ora è un brand. “Ma cambiare nome costa caro”

Dopo la sentenza del tribunale di Torino, sono partite le lettere degli avvocati della famiglia. La storia di un locale di Bologna: “Costretti a rivoluzionare tutto, compresi gli arredi”

Totò, Peppino e il nuovo logo della pizzeria di Bologna

Totò, Peppino e il nuovo logo della pizzeria di Bologna

Bologna, 26 aprile 2024 – Pizzeria ‘Totò’ (con la variante ‘Totò e Peppino’), ristorante ‘A livella’: nelle ultime settimane i titolari dei locali dedicati al principe della risata hanno ricevuto una butta notizia. Lettere legali, vere e proprie diffide a cambiare denominazione. È accaduto a Napoli, ma anche in tante altre città italiane, da Torino a Bologna, da Latina a Porto d’Ascoli. L’iniziativa è partita dagli eredi di Antonio de Curtis, il cui nome diventa così a pieno titolo un brand utilizzabile solo da chi lo possiede (cioè la famiglia) o da chi è autorizzato a farlo.

A scatenare lo tsunami è stato, nel giugno del 2023, il Tribunale di Torino, che ha inibito a una pizzeria l’uso non autorizzato del nome Totò, estendendo il divieto anche alla sua celeberrima poesia ‘A livella’. Nell’ordinanza cautelare, i giudici hanno ribadito i principi legali legati alla tutela del nome e dell’immagine e concesso l’inibitoria: quindi, via il nome dell’artista dall’insegna, dai cartoni per il trasporto, dai siti web, dal menù e dai biglietti da visita. Fissata anche l’ammenda in caso di mancata ottemperanza: ogni violazione accertata costerà 200 euro. Dalla sentenza di Torino, per evitare sanzioni, molto locali in tutta Italia hanno deciso in autonomia di cambiare nome e tanti altri sono stati raggiunti dalle lettere degli avvocati della famiglia. "Stiamo cercando di tutelare l’immagine di mio nonno”, ha detto Elena de Curtis, nipote di Totò, in alcune dichiarazioni al Messaggero e al Mattino di Napoli. “Ma quando si è in buona fede un accordo di trova”, ha aggiunto la figlia di Liliana, morta nel giugno del 2022. Il problema, infatti, sono le speculazioni: “Ci imbattiamo spesso nell’utilizzo del nome di mio nonno, ma anche della sua immagine e delle sue opere, senza nessun rispetto per il diritto che li tutela. Abbiamo trovato su una bottiglia di vino, senza saperne assolutamente nulla, l’etichetta ‘A livella’. E chissà quanti altri casi esistono di cui non siamo neppure a conoscenza. Di fronte all’amore per l’artista che si vuole omaggiare - ha spiegato la nipote - siamo disposti ad avviare, come abbiamo sempre fatto, un’interlocuzione e in alcuni casi stiamo dando anche l’autorizzazione all’utilizzo”.

Ma resta il fatto che l’obiettivo è quello di fare del nome Totò un brand. “E’ vero – dice Elena de Curtis – Stiamo pensando alla sua creazione. Di fronte a questa situazione è stato necessario fermarci per mettere ordine, ma vorremmo realizzare un brand, dare indicazioni precise a chi lo utilizza, come fosse un franchising”.

“Cambia nome ma la nostra storia continua". Ci accolgono con questo spirito Raffaele e Francesca Acanfora, titolari della ex pizzeria "Totò e Peppino", ora "Terra mia". Nome che non è altro che un richiamo alle loro origini, la provincia di Salerno, dalla quale sono arrivati a Bologna nel 1988. Una lunga storia raccontata in una nuova scritta e appena verniciata, appena fuori dall’ingresso. Un’insegna che fino a poco tempo non c’era. Così, a un primo impatto, qualche cliente avrà pensato a un cambio di gestione.

Invece, i motivi sono ben altri: Antonio De Curtis, in arte Totò è diventato un brand registrato, come stabilito dal tribunale di Torino nel 2023, e tra i locali che hanno ricevuto una formale diffida c’è anche il ristorante pizzeria di via Mattei, a Bologna, che in 90 giorni, dal 9 agosto al 9 novembre 2023, è stata obbligato a rivedere da cima a fondo il locale e a rimuovere qualsiasi tipo di richiamo alla figura del principe della risata.

Un fulmine a ciel sereno e "tredici anni di lavoro scomparsi in tre mesi", racconta amareggiato Raffaele. E allora, dopo la decisione del giudice, la pizzeria ha voltato pagina e tolto qualsiasi cosa raffigurasse l’artista, oltre al pagamento di 5 anni di diritti d’immagine. Un iter da "molte migliaia di euro", confessano i titolari. Secondo Raffaele e Francesca, inoltre, "un errore che abbiamo commesso è stato quello di presentarci ognuno per conto proprio". L’unione fa la forza e forse "insieme agli altri proprietari di locali come il nostro che si sono trovati nella stessa situazione, avremmo potuto fare fronte comune e giocarci meglio le nostre carte".

Comunque sia, ormai i giochi sono fatti. Il nuovo nome, "Terra mia", è nato da un’idea della figlia di Raffaele, mentre suo figlio ha ideato il logo raffigurante un sole e i suoi raggi attorno al nome del ristorante. "Entrambi hanno incontrato subito il favore del pubblico. Ma quello che è successo è ancora difficile da metabolizzare, avremmo voluto più tempo. Quanto? Magari un anno per sistemare tutto con calma".

Non è stata una passeggiata. Il danno economico è difficile da quantificare e, proseguono i proprietari, "i legali dei nipoti di Totò non ci hanno fatto nessuna proposta per continuare a usare il nome pagando un canone annuo". Proposta che, se giusta, i due avrebbero accettato senza problemi, considerate le spese che hanno invece dovuto sostenere per adeguarsi alla sentenza. Ma la parte più difficile è fare cambiare idea ai clienti, "tant’è che molti ancora ci chiamano Totò & Peppino, un nome a cui noi, come loro, eravamo affezionati".

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