GABRIELE PAPI
Cronaca

Il cesenate che voleva uccidere Napoleone III

Paolo Grilli finì in carcere con altri cospiratori accusati di voler attentare alla vita dell’imperatore, ma per gli storici fu vittima di un intrigo

di Gabriele Papi

È poco nota, ma veritiera e più intrigante di un film questa vicenda storica del nostro Risorgimento che vide coinvolto un calzolaio cesenate, mazziniano, emigrato a Parigi: Paolo Grilli, 28 anni. Tanto più perché si incrocia con un misterioso attentato (fallito) a Napoleone III sotto la casa parigina di Virginia Aldoini, la Contessa di Castiglione, agente speciale del disinvolto Cavour con il mandato di sedurre e conquistare sempre più l’imperatore francese alla causa della nascente Italia.

Ma andiamo con ordine. 1857: a Parigi, come a Londra, c’erano piccole comunità romagnole. Nell’estate di quell’anno, una retata della polizia francese arresta, oltre a Grilli, il piacentino Paolo Tibaldi,40 anni, e il cappellaio bolognese Giuseppe Bartolotti, 24 anni. Pesante l’accusa: tramare attentati a Napoleone III su istigazione di Mazzini, in quel tempo a Londra. La Corte condanna Grilli e Bartolotti a 15 anni di carcere, più dura la sentenza per Tibaldi: deportazione perpetua alla Caienna, la terribile Isola del Diavolo (resa famosa, un secolo dopo, da Papillon). Ma le vicende giudiziarie, ieri come oggi, sono complicate. E qui entra in ballo la casa parigina della Contessa di Castiglione: il misterioso attentato contro Napoleone III che alle tre di notte lasciava la seducente Virginia sarebbe avvenuto il 5 aprile. Gli arresti furono successivi. Ancora oggi gli storici si chiedono se non si sia trattato d’un intrigo orchestrato da Eugenia, moglie dell’imperatore francese, per mettere fuori causa la Contessa di Castiglione: che ufficialmente non fu coinvolta nell’ingiusta giudiziaria, ma che tuttavia fu messa al bando da Parigi.

Più che la gelosia contò la ragion di stato: la pragmatica imperatrice Eugenia temeva quelle “teste calde” degli italiani, imprevedibili. Non aveva torto: 14 gennaio 1858. Il corteo imperiale che andava a teatro è colpito da violenti esplosioni: 9 morti e 156 feriti tra la folla. La carrozza blindata salva Napoleone III e consorte. A capo dei dinamitardi il romagnolo Felice Orsini (nativo di Meldola), Orsini, in rotta con Mazzini, non perdonava a Napoleone III i “tradimenti” sin lì perseguiti alla causa della nascente Italia, promesse non mantenute. Perché quell’azione eclatante e sanguinosa proprio a Parigi? Perché - era il motto dei rivoluzionari d’allora- “la rivoluzione a Parigi è la rivoluzione dappertutto”. Erano entrate in scena e diventeranno tristemente celebri le cosiddette bombe all’Orsini, antenate delle moderne bombe a mano con micidiali effetti a grappolo. Ideate da Orsini in collaborazione con armaioli senza scrupoli erano palle sferiche di ghisa cosparse di capsule di fulminato di mercurio che esplodevano in modo dirompente a contatto con ogni oggetto solido.

Catturato e condannato a morte Orsini, con la sua fierezza e fedeltà alla causa e malgrado il suo attentato terroristico, divenne un mito per i ribelli d’ogni sorta. Decenni dopo, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, anche nelle osterie romagnola risuonava spesso un canto bellicoso: “Bombe all’Orsini e pugnale alla mano a morte l’austriaco sovrano E noi vogliam la libertà A morte Franz, viva Oberdan”. E vai col sangiovese…