
Le sette vittime dell'incidente in Spagna
Modena, 20 marzo 2021 - "Illustrissimo presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, sono trascorsi cinque anni da quel tremendo e assurdo giorno in cui abbiamo perso le nostre figlie, nulla è stato fatto se non tentare di insabbiare questa immane tragedia da parte sicuramente di alcuni soggetti della magistratura spagnola, non escludendo il governo catalano e quello centrale, i quali sono rimasti in disparte e in silenzio". È l’inizio della lettera scritta qualche giorno fa al capo dello Stato dai genitori di Elena Maestrini, di Bagno di Gavorrano (Grosseto), una delle sette studentesse italiane che all’alba del 20 marzo di 5 anni fa persero la vita in un terribile incidente stradale accaduto in Spagna, sull’autostrada verso Tarragona. Il pullman sul quale viaggiavano decine di studenti Erasmus, era diretto a Barcellona. Si schiantò contro un’auto; morirono 13 ragazze. L’autista negò di essersi addormentato ma nell’ottobre del 2019, dopo tre richieste di archiviazione, venne rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo. Da allora sulla vicenda è calato il silenzio. Tra le ragazze rimaste gravemente ferite nello schianto c’è Laura Ferrari, 28 anni, studentessa modenese di Unimore che nel 2016 stava svolgendo un periodo di studio in Spagna. In questa intervista, la ragazza racconta la sua rabbia – perchè, ancora, dopo 5 anni non è iniziato nessun processo, penale o civile – ma anche la sua determinazione per continuare a lottare e ottenere finalmente giustizia.
Strage sul bus Erasmus, il processo si farà. Morirono 13 studentesse, tra cui 7 italiane
Laura, oggi ricorre l’anniversario della strage a cui è sopravvissuta. A distanza di cinque anni cosa ricorda di quel giorno? "Cerco di sorridere anche se ancora mi viene da piangere. Ero incastrata sotto al pullman, con ferite molto gravi. Ricordo la mia amica Elise che è sempre stata accanto a me e che mi ha salvato. Ha fatto in modo che non morissi dissanguata: mi teneva sveglia e quando sono arrivate le ambulanze, 45 minuti dopo l’incidente, proprio lei ne ha fermata una per farmi caricare. Mi ha parlato ininterrottamente per 45 minuti, chiedendomi di stare calma, rassicurandomi sulle mie condizioni e facendomi ripetere il mio nome. Il ricordo più brutto è quello di quando mi sono resa conto che non riuscivo più a pronunciarlo".
Cosa ricorda dei momenti precedenti lo schianto? "Avevo partecipato ad una gita con l’università e con i ragazzi Erasmus. Eravamo andati ad una bellissima festa a Valencia, ma mi aveva lasciata perplessa l’organizzazio ne della giornata".
In che senso? "Saremmo dovuti tornare alle 4.30 e ci attendevano due ore di viaggio ma eravamo partiti alle 4.30 del mattino precedente. Mi sembrava una cosa particolare – intendo 24 ore di viaggio – che un’associazione universitaria avesse organizzato quel tipo di gita. Reputo comunque sia stato un incidente di percorso; nel senso che non ho mai ritenuto responsabile di quanto accaduto l’associazione. Il conducente aveva oltre sessant’anni; come pretendere che non si stancasse e si addormentasse? Il problema è che le aziende sono solo votate al profitto ed è compito del legislatore regolamentare".
Ci sono tante famiglie delle vittime che attendono giustizia poiché il processo è fermo. "Spero solo che i parenti delle vittime riescano a trovare un po’ di pace e credo che arrivare ad una sentenza contribuirebbe alla loro serenità. I tempi della giustizia sono lunghi ma l’esito incide molto sulla possibilità di queste famiglie di ricostruirsi una vita. È un continuo vivere in funzione di visite, udienze, e raccolta documenti. Quando sono rimasta coinvolta nell’incidente avevo 23 anni: la metà della mia vita adulta l’ho vissuta accompagnata da questo processo. E ancora non è finita".
È riuscita a portare il processo civile in Italia, ma a livello pena le è ancora tutto fermo. "Sin da subito, da quando hanno accertato che le vittime erano tutti ragazzi/e Erasmus è stata raccontata come una strage di portata europea e il processo ha conservato quell’identità, con i pro e i contro che ne conseguono. L’Unione Europea è compiuta solo per metà e quindi non puoi aspettarti che le sue regole ti difendano e ti tutelino del tutto: ma solo per metà, come è stato. Ogni azione è stata una metà azione, ogni certezza è stata una metà certezza e l’unica cosa che è raddoppiata sono i tempi".
Come vive questa situazione di ‘stallo’ della giustizia? "In questi 5 anni ho tentato di non interpretare mai quello che è successo secondo la rabbia e il dolore, ma cercando la maggiore lucidità e il maggior coraggio possibili per affrontare le archiviazioni, i rinvii e la sospensione del processo per il cambio del giudice. Ora denuncio che 5 anni sono troppi per non essere arrivati a un primo grado né nel penale né nel civile, che solo le famiglie economicamente solide possono affrontare un processo del genere e che le previsioni normative frammentate tra leggi e nazionali ed europee formano un labirinto impossibile da districare. Ho capito il valore di principi quali la ragionevole durata del processo e la certezza del diritto, sentendone una profonda e lacerante mancanza".
Come l’ha cambiata l’incidente? "Difficoltà nel riprendere la mia vita in mano e nel conseguire quelli che sono i normali obiettivi che si propone una ragazza della mia età".