Zucchero alla Royal Albert Hall di Londra: “Viviamo tempi bui. Serve un po’ di luce”

Il cantautore reggiano riparte con ‘Overdose d’amore world wild tour’. Stilettate a Putin, Trump e Nethanyahu. E benedice Salmo: “Mi riconosco nei suoi testi”

Zucchero sul palco (foto di Andy Paradise)

Zucchero sul palco (foto di Andy Paradise)

Londra, 1 aprile 2024 – Una spolverata di Zucchero per addolcire quest’epoca amara. “Viviamo tempi bui. Anzi è notte fonda – scuote il capo il bluesman di Roncocesi (Reggio Emilia) la mattina di sabato dopo il primo dei tre live che lo hanno riportato nel tempio della musica britannica, la Royal Albert Hall di Londra (foto) – In questi momenti qua, tendo a esser più solare possibile, a trovare più luce possibile”.

Tra giorno e notte, tra sacro e profano. E’ sempre stato questo il territorio di Zucchero. Mentre lancia il nuovo “Overdose d’amore World Wild tour” proprio dalle prime tre date di Londra, che lo porterà in Europa e negli States per poi arrivare negli stadi italiani (23 giugno a Udine, il 27 a Bologna, il 30 a Messina, il 2 luglio a Pescara e il 4 a Milano) Fornaciari si concede una chiacchierata su musica, politica e radici. Senza freni, come sempre ha fatto. Da più di 40 anni sul palco, guarda il mondo di ieri e quello di oggi. Che non è affatto lo stesso. 

"In passato andavo volentieri in Russia. Ho iniziato ad andarci nel '90 con il concerto al Cremlino. Quello russo è un pubblico attento che ama l'arte e la cultura. Adesso non ci siamo più andati e anche se fossi invitato non ci andrei”. Per poi aggiungere sardonico: “Ma non andrei neppure da Netanyahu o da Trump”.

Non vuol sentir parlare di censure o di politically correct. E tanto meno di protocolli da firmare contro testi “violenti” in musica, come quello proposto dal Sottosegretario alla Cultura Giammarco Mazzi: "Non credo che uno come Guccini o De André o De Gregori sottoscriverebbe una roba del genere, e non lo sottoscriverei nemmeno io. C'è qualcuno che a parole fra i politici è meno violento di uno che scrive testi?”.

Graffiante e spregiudicato, così come sul palco. "Purtroppo, oggi nel rock è tutto annacquato, è tutto 'politically correct'. Nessuno che ci va giù pesante, nessuno che prende una posizione”. Salvo benedire un paio di artisti in cui si riconosce, come Marrakesh e Salmo: “Nei suoi testi mi identifico”, ammette. Di duetti non ne vuol più sentire parlare per un po’, se non sorgono spontanei. “Io son stato il primo a farli”, ricorda citando Miles Davis o Eric Clapton. E poi le infinite volte al Pavarotti & Friends. “Non so se ci saranno altri ospiti durante il tour, ma se potessi scegliere mi piacerebbe avere Mark Knopfler e Cat Stevens”, fantastica un po’, per poi svelare con chi rimpiange di non aver mai suonato assieme: “Una su tutte, Amy Winehouse”. 

Per adesso si pensa al nuovo tour, funestato poco prima dell’inizio dall’improvviso ricovero dello storico batterista Adriano Molinari. "Abbiamo trovato questo ragazzo, Phil Mer, che è stato straordinario. Si è studiato 30 pezzi in una notte e sul palco suonava leggendo la musica direttamente”.

Zucchero punta tutto sul live. E sulla sua band da 10 fenomeni, "che non sono mercenari” ci tiene a specificare. Menzione speciale per l’incredibile corista camerunense Oma Jali, che anche a Londra ha incantato il pubblico con voce potente e danze afrodisiache. “L’ho scoperta su Youtube. Non l’ho neanche audizionata”, ricorda con un sorriso. La scaletta portata nella sala concerti di sua maestà è quella rodata negli ultimi dieci anni. Funziona bene così dal punto di vista dinamico, dice Zucchero, “ci sono picchi, ballate e mezzi tempi”.

Se poi dovesse cambiare, ha a disposizione un repertorio di 250 canzoni da cui pescare. La carrellata dei classici come Overdose d’Amore, Diamante, Miserere e Dune mosse, si alterna con gli ultimi brani scritti, tra cui quelli nostalgici sulle sue radici reggiane, con Un soffio caldo e Chocabeck. Canzoni che per Zucchero hanno un sapore doppiamente dolce, oggi che si trova a essere anche cittadino onorario della città da cui è stato prelevato e portato via a soli 11 anni. 

"E’ stata un’emozione ricevere quel riconoscimento, non me l’aspettavo. Ma penso che fosse sentito anche dalla gente, che mi parlava in dialetto – racconta divertito – Purtroppo da piccolo sono capitato in un posto in cui non c’entravo nulla. A Forte dei Marmi mi odiano, lì di sicuro non me la danno la cittadinanza… Dopo essere andato via da Reggio non mi sono più trovato a casa. Io sono fuori casa da quando avevo 11 anni".

L’ennesimo atto d’amore per il bluesman, che l’anno scorso ha riempito due sere di fila i 40mila posti a sedere della Rcf Arena, per un ritorno a casa che in tanti emiliani aspettavano con ansia.