Sfruttamento del lavoro. Bonifica dopo l’aviaria, operaio denuncia:: "Io, mai stato pagato"

Processo Bidente per l’appalto allo stabilimento Eurovo, in aula le testimonianze degli stranieri ’assunti’ per pulire i capannoni "Dissi che ero irregolare in Italia, mi risposero ’non ci sono problemi’".

Sfruttamento del lavoro. Bonifica dopo l’aviaria,  operaio denuncia:: "Io, mai stato pagato"

Sfruttamento del lavoro. Bonifica dopo l’aviaria, operaio denuncia:: "Io, mai stato pagato"

di Cristina Rufini

"Non avevo documenti, né il permesso di soggiorno, ma ogni mattina quando arrivavo allo stabilimento Eurovo, bastava che scrivessi il mio nome e cognome, la firma accanto e potevo iniziare a lavorare". E’ una parte del racconto che un cittadino senegalese di 51 anni ieri ha fatto davanti al Collegio di giudici (presidente Piera Tassoni, insieme ai giudici Alessandra Martinelli e Giuseppe Palasciano) in una affollata udienza del processo sullo sfruttamento del lavoro nero per la bonifica post aviaria allo stabilimento Eurovo di Codigoro. "Ero stato reclutato alla stazione ferroviaria di Padova, dove abito – ha proseguito lo straniero rispondendo alle domande del pubblico ministero che ha coordinato le indagini, Andrea Maggioni – Ho incontrato El Alami ed è a lui che ho detto di non avere i documenti, lui mi ha rassicurato che potevo lavorare e dopo mi avrebbero messo in regola". Una sorta di contratto morale, lo ha definito il senegalese, che avrebbe dovuto fruttargli, al di là dell’irregolarità, sette euro all’ora per otto ore lavorative al giorno, tutti i giorni della settimana. "Sei giorni dopo l’inizio del lavoro – ha proseguito nel racconto il 51enne – è accaduto l’incidente al furgone a bordo del quale stavamo tornando a Padova, era il 25 novembre del 2017. Da allora non ho più lavorato, ma soprattutto non ho ricevuto neanche un euro per i giorni lavorati".

Le condizioni. "Nessuno mi aveva spiegato che in quell’azienda c’erano problemi sanitari – ha aggiunto su richiesta del pm – mi era solo stato detto che dovevo pulire dove erano morti i polli, i loro escrementi. E se non facevo bene, qualcuno dell’azienda mi diceva di rifarlo. A volte mi sentivo male dal cattivo odore". Quanto alla dotazione per proteggersi, il cinquantunenne ha raccontato "che quando arrivavo dopo aver firmato, mi dovevo mettere tuta e scarpe, che potevano essere di coloro del turno prima, che se le toglievano, oppure le trovavo appese". Ma comunque usate. "Solo la mascherina era la mia – ha concluso – la presi il primo giorno e poi la portavo con me e la riutilizzavo". Sempre la stessa per sei giorni, è emerso alla fine. Dopo di lui hanno testimoniato altri operai che in quel periodo lavoravano alla Eurovo, per l’udienza di ieri ne erano stati convocati dieci e tutti si sono presentati.

Il processo. Gli imputati del processo sono i forlivesi Elisabetta Zani, Gimmi Ravaglia e Ido Bezzi (presidente, vicepresidente della Bidente) e i marocchini Abderrahim El Absy, Ahmed El Alami e Lahcen Fanane. A questi si è aggiunto di recente un settimo indagato. Le accuse sono sfruttamento della manodopera e appalti sospetti. Le indagini seguirono gli accertamenti su un incidente mortale che coinvolse un furgone che stava riportando a casa gli operai – tra i quali il 51enne – e che hanno portato ad accertare che quei lavoratori rientravano dallo stabilimento codigorese, dove erano impegnati nelle operazioni di bonifica dei polli morti. L’attenzione della guardia di finanza si focalizzò sull’appalto da cinque milioni affidato alla cooperativa del Bidente e poi sulle varie aziende subappaltatrici.