Forlì, 22 novembre 2022 - "Ho messo quella maglietta perché quella che avevo indossato poco prima aveva un buco. Così poi dall’armadio ho preso la prima cosa che m’è capitata... Non c’era nessuna intenzione di offendere nessuno... tantomeno i deceduti di una tragedia come quella dei lager nazisti...".

Si difende così davanti al giudice (e al pm Laura Brunelli), Selene Ticchi, la 52enne bolognese ex Forza Nuova, finita a processo per avere indossato a Predappio il 28 ottobre 2018 (al raduno per l’anniversario della marcia su Roma del 1922) una maglietta con la dicitura ’Auschwitzland’, adattata alla grafica Disney. Processo partito da una denuncia dell’Anpi (l’associazione dei partigiani), ora parte civile della causa così come il figlio di un sopravvissuto al lager nazista (assistiti dall’avvocato Antonio Giambrone).
Ticchi accetta di parlare in aula al secondo round del procedimento penale in cui è accusata di violazione dell’articolo 2 della legge 205 del 1993, contro le discriminazioni razziali (legge Mancino); reato per il quale il tribunale l’aveva condannata, con decreto penale, a 4 mesi, esito però impugnato dalla difesa.
Sollecitata dall’avvocato difensore (e marito) Daniele D’Urso (che nel luglio 2021 aveva ricusato il giudice Anna Fiocchi, "per mancanza di terzietà"), Ticchi racconta la temperie di quei giorni. Ricostruendo un antefatto privato che ha però effetti sugli eventi successivi al centro dell’attuale processo: "Il giorno dopo di quel 28 ottobre 2018 mio marito si sarebbe dovuto operare, per l’amputazione di una gamba. Ero sotto stress. E avevo pure la camera da letto sottosopra, per poterla riadattare quando mio marito sarebbe tornato a casa... anche se i medici sostenevano che c’era l’alto rischio di morte... Sta di fatto che a quel punto, per andare a Predappio, cui ero stata invitata da alcuni amici, ho infilato quella maglietta...".
Ticchi è uscita da Forza Nuova nel 2020. Oggi fa parte del Movimento Nazionale-Rete dei Patrioti: "Quella maglietta l’avevo messa altre volte e nessuno aveva mai detto nulla...", argomenta ancora Selene Ticchi, ribadendo un concetto che aveva già espresso in passato in diverse interviste.
"Ma perché l’aveva indossata le altre volte?" chiede allora il marito-avvocato. "Per protesta. Perché quella maglietta fa parte di una serie di gadget di chi lucra sul dolore delle stragi e sulla memoria storica collettiva. Sulla Shoah così come sui gulag o sulle atrocità commesse in Vietnam. È odioso che qualcuno speculi su certi fatti" chiosa Ticchi in aula. A quel punto però il giudice, Marco De Leva vuole sapere "dov’è che l’aveva presa quella maglietta".
"Era l’omaggio di un ordine complessivo che avevo richiesto tempo prima per un’associazione. Ripeto signor giudice, non volevo ledere la sensibilità di nessuno. E mi scuso se qualcuno s’è offeso...". Alla fine il giudice De Leva evita la perizia alla maglietta (così come era stato ipotizzato) e fissa il giorno della discussione con sentenza finale: 12 gennaio 2023.