Il seduttore delle star. Minisci lascia la città del Naima jazz club: "Torno alla mia Itaca"

Dopo oltre mezzo secolo Michele Minisci migra al contrario scendendo in Calabria, al paese natale. Nell’82 fondò il locale dove si sono esibiti i più grandi artisti del mondo (compreso quel genio di Chet Baker).

Ve lo sareste chiesti anche voi. "Chi è quello lì? Cosa fa nella vita?". Sagoma laminata simile all’ombra, torso assile alla Keith Richards, falcata basculante, andamento determinato e disorientato al pari d’un innamorato, imbarbaggio incolto e accuratamente coltivato, riso da fachiro di Samarcanda, chioma a vestaglia (pure oggi che ha 77 anni), Michele Minisci l’avrete visto così su e giù per i corsi del centro sempre con un fastello di carte sottobraccio.

Erano le sue carte da gioco: appuntamenti con i più celebrati artisti musicali del globo che lui, in oltre 40 anni di vicende e trame screziate di ventura e d’avventura, ha fatto approdare in questo lato terracqueo, ma dall’assonanza accentata che gli dà in realtà – nell’intuito di Minisci – un cotê misterico e transnazionale, e per questo accattivante (per dire) anche per l’orecchio d’un geniale jazzista dell’Oklahoma; città (Forlì) che non era la sua patria, ma sarà più della sua patria, sarà la sua casa, la sua vita, come si conviene a un migrante che cresce florido, talea rigogliosa, nel trovato, non cercato, terreno subitaneamente amato.

Minisci se ne va dalla Romagna (partenza, 17 marzo). Torna alla terra genitoriale, la Calabria (a Vaccarizzo Albanese, Cosenza, dove lo attendono come una rockstar). Lascia la città che l’ha adottato trasformandolo in un sire degli impresari musicali. Minuzioso fino alla drammaticità nel costruirsi un personaggio che fosse un devoto compagno della sua persona, Minisci, da Forlì al mondo, moltiplica con tatto contatti e amicizie che proliferano di pari passo inclementi riflessi d’invidie, rancori malamente smussati e cristallini contrasti silenti che diventano costruzione d’un’atmosfera laddove i protagonisti – i big della musica che si esibiscono dagli anni Ottanta agli anni Zero al Naima di via Somalia – compaiono e scompaiono dopo essere stati sedotti, per lasciare lui solo al centro della scena. Che per i nemici, ostili e condiscendenti, sono solo un’oscenità tronfia; ma per Minisci sono il trionfo.

Ora però è tempo di nostalgia di Calabria. Che pure quella non sarebbe la sua terra, visto che in grembo conserva geni d’Albania, coi suoi abitanti migrati a migliaia, dal tredicesimo secolo, nel piede italico, a loro volta avi di guerrieri protomacedoni e mongolici. Quest’essenza combattentistica Michele la tramuta in tenacia entusiastica capace di scovare re e reietti del palcoscenico. Cantanti che lui incanta.

A proposito; torniamo al jazzista dell’Oklahoma: Chet Baker negli anni Ottanta è una divinità mitologica che sceglie l’Italia, Roma, Trastevere, per librarsi oltre le lande, ormai soffocanti, dell’american dream. Minisci s’è inventato la sua scissura di libertà: il jazz, passione ancestrale. Prima al Circolo Carl Marx poi al Ciaika di San Martino in Strada (e poi, dal ’95, nel palco di via Somalia), Minisci riesce sfuggire dai mestieri che danno il pane per approdare alle emozioni che ci mettono anche un po’ di companatico: s’inventa il Naima jazz club, in onore alla celeberrima composizione di John Coltrane (Naima). D’altronde Minisci nel ’73 scappò pure dal lavoro di dirigente del Comune di Ravenna (dov’era approdato dopo la laurea in legge a Ferrara) per diventare corrispondente dell’Unità da Forlì, terra della futura consorte. E dove nel 1984 Minisci riesce a portare proprio il maledetto della tromba, il totemico Chet. Quella è la linea di demarcazione esistenziale di Minisci (anche se lui ricorda con affetto la performance di Capossela del 2010). Il Naima jazz club da lì inanella una stella dietro l’altra. Le gioie vanno di pari passo con la moltiplicazione di assortite ostilità. Ma, carta canta, eccome se canta, direbbe Totò: Minisci a Forlì ha portato 7.125 musicisti di tutto il mondo contando 335mila spettatori amanti del jazz e del blues d’ogni parte d’Italia.

Perché se ne va? "Torno alla mia Itaca", sogghigna. Ancora questo topos. Quando in realtà sappiamo (dalla Telegonia) che Ulisse a Itaca è tornato solo per fare uno sterminio e un saluto ai famigliari. Poi ripartirà. Sempre. Quindi, quando tornerà Minisci? "Ma certo che torno, qui ho una figlia e due nipoti...". Sghignazza. E allora si capisce che qui a Forlì ormai le sue idee ora sono solo ninfee, nulla più. "Avevo diversi progetti, ma...". Il 40esimo del Naima è stato celebrato quasi in clandestinità. "Nooo, è stato bellissimo... al liceo musciale e alla scuola di musica, con tanti giovani". Ma insomma: due cose nella vita palesemente ondeggiano: il mare e la verità. E adesso la verità della realtà non gli dà spazio. Solita storia: lo spirito del tempo feconda (anche) spiriti avversi. Così Minisci torna migrante. Riapparirà a Forlì come impresario delle star? Lui allora spalanca un riso ad orizzonte che, si sa, non ne esclude mai un altro.

Maurizio Burnacci