Salve le ’foto Montanari’ L’archivio del reporter del Carlino sottratto ai flutti grazie alla figlia

Erano in tavernetta poi invasa dalla fiumana in via Monte. San Marco. Annamaria le ha portate in tempo al piano. superiore: "In caso contrario non me lo sarei perdonato".

Salve le ’foto Montanari’  L’archivio del reporter  del Carlino sottratto  ai flutti grazie alla figlia

Salve le ’foto Montanari’ L’archivio del reporter del Carlino sottratto ai flutti grazie alla figlia

Per dire. Le foto di questa ambascia fanghigliosa, di questa burrascata ingorda di lutti e lacrimose perdite tra i flutti della fumante fiumaia, Sante le avrebbe fatte ad occhi chiusi. Le risultanze sarebbero state nitide immagini aperte sulla catastrofe.

Le foto di Sante Montanari sono salve. L’archivio che custodisce la narrazione di mezzo secolo di storia della città e del territorio, con tumultuoso orgoglio, sono state state strappate all’oblìo dalla figlia Annamaria. Gonfio come una vela il cuore di Sante, il raccontatore di cronache forlivesi, ne sarebbe fiero. Sardonicamente, lui esclamerebbe "Ad fata roba burdél!..." mostrando alla sua perenne platea il prezioso portfolio degli scritti di luce scattati per il Carlino dalle aurore dei Sessanta ai tramonti degli anni Dieci, quando si mise a riposo.

Annamaria abita in via Monte San Marco, traversa di via Isonzo. Una delle zone più ferite. Le foto del padre, scomparso il 23 agosto dell’anno scorso, le aveva raccolte con cura in decine cartelline spalmate in degli armadietti che teneva in tavernetta. Più d’un migliaio d’immagini. Il seminterrato adesso è una lunare crosta di limo figlia della drammatica risacca alluvionale. Tutto distrutto. Ma le foto no. Salvate.

"Ero in ansia da giorni – racconta Annamaria, figlia di Sante –. Sentivo tutti che dicevano che sarebbe arrivata una specie di finimondo. Così, già dalla domenica prima del disastro, ho cominciato a portare su le foto al primo piano, dove abito con la mia famiglia. Una scelta azzeccata. Ci tengo troppo a queste foto...".

Dunque, un ronzìo nel sangue impedisce ad Annamaria di ignorare i lamenti estenuati dei vari allarmi meteo. Così dopo un lento logorìo si fende nell’animo una rigogliosa breccia in fondo alla quale Annamaria sa cosa fare. Portare via quelle foto di Sante da quel seminterrato. Subito. Le scellerate acque avrebbero sommerso la storia della città. Quelle immagini per Annamaria sono le sue tenerezze e le sue più care tristezze da quando il padre non c’è più.

"È quasi una mia ossessione, custodirle" sussurra lei, sollevata, ora liberata dall’ansia, dal terrore, di vedere per sempre sbiadire quei cartacei emulsionati di biancoenero fatti di facce, sorrisi, tragedie, eventi mondani o politici, tenebre assortite, cronacacce di nera, resoconti tribunalizi, sconfitte e trionfi di sport. Persistenti come rimpianti galleggerebbero ora i rimorsi di Annamaria se quelle lamine argentate fosse svanite tra spire tempestose e balaustrate pluviali oltre le quali gli occhi si perdono senza perdòno. Ma la volontà di non abbandonare il ’fondo foto-Montanari’ alla voracità dei frangenti è una fiamma che nemmeno quest’assassina fiumana ha potuto travolgere.

"Già martedì 16, il primo giorno di pioggia, la tavernetta era sommersa da un metro e mezzo d’acqua. Io abito a 150 metri dal fiume. È stato un disastro. Quando sono scesa mi sono accorta che una busta di foto era rimasta sopra un armadietto. Era fradicia. L’ho afferrata...".

In quella tormentosa feccia di spurghi e carcasse, tra guizzi catramosi in cui naufraga ogni cosa, Annamaria riesce ad afferrare il plico. Che però nella prescia cade. "Allora ho messo le mani nell’acqua fetida e l’ho ripescato...".

Correndo quindi via da quella marea invelenita accovacciata tra i muri e il soffitto, con la delicatezza dovuta a un diamante, Annamaria mette le foto ad asciugare. "Poi il giorno dopo io mio marito, mia figlia (l’altro mio figlio era al mare), i due cani, siamo stati tratti in salvo da un gommone della protezione civile. Noi abbiamo perso due auto praticamente nuove, completamente sommerse dalla fiumana, il giardino è incrostato. Siamo ancora circondati dal fango. Chissà ancora per quanto tempo. Questa alluvione peserà a tutti noi forlivesi per il resto della nostra vita. Se penso poi ai morti... Che tragedia... Ma una consolazione nel mio cuore ce l’ho, in fondo: almeno le foto di mio padre sono salve. E adesso più che mai sono propensa a fare una mostra cittadina con quelle immagini, coinvolgendo istituzioni e associazioni. Il destino ha voluto così".

E allora, torcendo il suo mordace riso alla stregua d’un orologio liquefatto di Dalì – con bitorzoluta sigaretta sui labbri – questo amor fati, à mo di scampato pericolo, Sante l’avrebbe tradotto (forse giustamente) così: "Ad fata roba burdél!".

Maurizio Burnacci