Scuole dell’infanzia, cambio di orari irrispettoso

Un padre lavoratore racconta la difficile organizzazione familiare con due figli piccoli e ritmi serrati. La mancanza di flessibilità lavorativa impatta sul benessere dei bambini.

Sono padre di un bambino di 4 anni e di un altro di 10 mesi. Non abbiamo parenti se non fuori regione. Io ho la fortuna di avere un lavoro a tempo pieno, con straordinari quotidiani che non scelgo, la vita reale è anche questo. La mia compagna ha un contratto di 6 ore al giorno. Il bimbo più piccolo è iscritto al nido e la mia compagna va a prenderlo appena finisce di lavorare; poi torna a casa e deve, felicemente, rispondere a tutti i suoi bisogni, ma anche fare lavatrici e da mangiare, chiamare il Caf per continue esigenze, chiamare il medico per i malanni stagionali, andare all’Hera perché hanno rotto il bidoncino dell’umido e non lo spediscono al domicilio, partecipare a riunioni come quelle del nido, della scuola dell’infanzia o condominiali, andare in banca, fare la spesa e mi interrompo per non diventare noioso. Aggiungo solo che talvolta i ritmi sono così serrati che salta il pranzo.

La sera riesco ad andare a prendere il bimbo più grande a fine giornata, spesso correndo. Con le fasce orarie in base ai contratti di lavoro questo tempo si restringerebbe alle 16.15 e 16.45, con conseguenze che lascio immaginare, anche se io stesso faccio fatica a figurarmi. Personalmente vivo un certo senso di colpa per il fatto di poterlo andare a prendere così tardi e la sera, per compensare, rinuncio a qualunque mio spazio per giocare con lui, nonostante questo sia deleterio per la mia qualità della vita e sicuramente abbia paradossalmente delle ripercussioni sul benessere di mio figlio.

Questa è la nostra organizzazione, che l’assessora Paola Casara con notevole sensibilità definisce irrispettosa nei confronti del bambino. Tralascio ogni commento circa la definizione di ‘pacco’.

Gianluca Cantone