Il ricordo di Bendinelli: "Ayrton visionò la pista. Era preoccupato per le sospensioni"

Ai tempi della tragedia era alla guida della Sagis che gestiva il circuito "Fu un weekend terribile: prima il povero Ratzenberger, poi Senna. Vedo ancora l’espressione triste negli occhi del brasiliano alla partenza". .

Il ricordo di Bendinelli: "Ayrton visionò la pista. Era preoccupato per le sospensioni"

Il ricordo di Bendinelli: "Ayrton visionò la pista. Era preoccupato per le sospensioni"

di Mattia Grandi

Riportare indietro di trent’anni le lancette dell’orologio del tempo per esorcizzare la pagina più nera della storia dell’automobilismo mondiale. I drammatici fotogrammi di quel maledetto weekend del Gran Premio di San Marino del 1994, con le vite spezzate di Ayrton Senna e Roland Ratzenberger, sono ancora nitidi nella memoria di tanti. Anche in quella dell’avvocato Federico Bendinelli, presidente dell’Automobile Club Bologna, al tempo alla guida della Sagis che gestiva l’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola.

Bendinelli, trent’anni fa la Formula 1 perdeva uno dei suoi più grandi campioni: Ayrton Senna.

"Di gran lunga uno dei piloti più importanti e tra gli sportivi più amati dal pubblico. Una perdita immensa. Il suo ricordo è, giustamente, ancora vivo. Ma ripenso anche alla triste fine dello sfortunato Ratzenberger".

Il tempo aggiusta tante cose. Le sue emozioni tre decenni dopo?

"Provo ancora una grande angoscia per l’irrazionale concatenamento di eventi funesti in così pochi giorni".

Il volo di Barrichello nelle prove del venerdì come cattivo presagio.

"E pensare che quando il dottor Giuseppe Piana (scomparso nel 2021, per anni a capo dell’equipe medica del circuito imolese, ndr), mi comunicò il miracoloso esito del referto medico del brasiliano fummo entrambi sicuri di esserci lasciati il peggio alle spalle".

Purtroppo, no.

"La morte di Ratzenberger il giorno dopo. Poi il contatto al via tra Lamy e Lehto, con detriti e uno pneumatico schizzati in tribuna, e nove spettatori feriti. Infine il pit-stop della Minardi di Alboreto che perse una ruota e colpì diversi meccanici. Una cosa mai vista prima".

Come le dinamiche della morte di Senna.

"Il forte impatto al Tamburello, la sospensione che si stacca con la gomma attaccata e l’uniball che si conficca nell’unico punto vulnerabile del suo casco".

Il tracciato di Imola finì sotto accusa ben prima del piantone della Williams. Ma c’è un retroscena.

"Senna venne in autodromo una ventina di giorni prima della gara. Da campione quale era, attento a tutti i dettagli, volle visionare l’asfalto della pista. Lo accompagnai in una ricognizione a piedi del circuito durante la quale mi confidò le sue preoccupazioni tecniche legate alla monoposto dopo l’abolizione delle sospensioni ‘intelligenti’. Doveva, quindi, tenere le nuove sospensioni molto basse per avere una buona tenuta di strada".

E poi?

"Mi disse che a Imola doveva vincere assolutamente per riaprire il campionato. Ci indicò alcuni punti dove eliminare le increspature dell’asfalto. Eseguimmo tutti gli interventi richiesti e il giovedì prima della competizione, con la mia auto, percorremmo un altro giro. Nonostante il divieto del regolamento, mettemmo ancora mano all’asfalto per minuscoli ritocchi di miglioria. Era soddisfatto e ci ringraziò".

L’ultima volta che l’ha visto in vita?

"In griglia di partenza. Aveva un aspetto strano con quell’espressione triste che non potrò mai dimenticare. La morte di Ratzenberger lo aveva colpito tremendamente".

Poi lo schianto fatale.

"Quel sussulto del capo alimentò le mie speranze per un epilogo diverso. Lo staff medico mi comunicò la gravità della situazione e prendemmo la decisione di far atterrare l’elicottero di soccorso in pista per il veloce trasporto al Maggiore di Bologna". Da lì, l’inzio del processo.

"Con il circuito sotto sequestro per molti mesi per le indagini. Non abbiamo mai temuto per le responsabilità dell’accaduto. Eravamo più che in regola. Il rammarico resta per la via di fuga non adeguata in una curva da piena come il Tamburello. Si sarebbero dovute abbattere diverse file di alberi tra il muro e l’argine del fiume Santerno. Le autorizzazioni non arrivarono mai perché una parte della politica locale si oppose con forza alla rimozione dei fusti. Fu fatto tutto dopo. Ma ormai Ayrton non c’era più".