È alle battute finali il processo sulla morte del 29enne Alessio Bevilacqua (nella foto), in seguito a un incidente in autostrada. In tribunale, ribadisce Sante Bevilacqua, "dalla perizia effettuata dall’ingegnere Della Monaca per il procuratore, è emerso che la tipologia di guard rail usata in quel tratto è adatta a una strada statale dove il limite è di 90 chilometri orari".
L’incidente era avvenuto il 29 agosto 2019 in A14, dove erano in corso i lavori per la terza corsia. "Mentre stavo percorrendo l’autostrada verso Verona sono andato fuori strada – ricorda il padre del ragazzo –, non ricordo la causa, ma leggendo i verbali compilati al momento dell’incidente ho detto che mi sembrava che qualcuno mi avesse stretto. L‘unica cosa che ricordo senza sforzo e senza chiudere gli occhi, è mio figlio disteso a terra. Disgraziatamente sono andato a finire su un guard rail fatto a rampa di lancio, l’auto è volata ribaltandosi e mio figlio, seduto dietro, è stato catapultato fuori a 24 metri di distanza, e dopo 15 giorni è morto". La famiglia acconsentì alla donazione degli organi.
Dopo le indagini furono accusati il padre, che avrebbe tenuto una velocità di 104 chilometri orari in un tratto dove il limite era 90, e tre funzionari della Società Autostrade, per le condizioni del cantiere e la mancanza di protezione della carreggiata. "Fortunatamente il giudice che ha preso in mano il processo è un uomo serio e attento, e mediamente ha effettuato una udienza ogni 40 giorni". Lunedì ad Ancona l’ultima udienza del processo, nel quale Bevilacqua è assistito dall’avvocato Renato Fortuni. Da stabilire, in particolare, se il guard rail che fece da rampa all’auto fosse regolare, in una strada come quella.