
Raffaele Pe e Marie Lys, protagonisti del Giulio Cesare (Cesare e Cleopatra) in scena
Portare in scena un’opera barocca è sempre una sfida proprio per il classico schema di questi lavori: singole arie affidate ai solisti, con i vari ‘da capo’, e recitativi per ‘cucirle’. "Ma Händel è stato maestro, non solo musicale: anche di teatro", esordisce Chiara Muti, regista del nuovo, ammirato allestimento del "Giulio Cesare". In questa meravigliosa opera "si rivelano una struttura musicale, una personalità e una vitalità che già ci fanno pensare ai cromatismi di Mozart e Da Ponte che sarebbero fioriti nei decenni successivi – spiega –. Del resto, Händel era tedesco ma aveva studiato in Italia, e si avverte nitidamente". Come ha pensato la sua regia? "Prima di tutto lavorando proprio su quello che Händel ci ha consegnato, la sua musica, un dinamismo orchestrale che arricchisce di senso ogni carattere. L’opera barocca si basa sulla varietà delle emozioni e ho voluto mettere in evidenza la grande diversità che c’è fra aria e aria, la capacità di passare dalla gioia al sogno, all’ironia e perfino alla violenza, un po’ come quando scorriamo i video sul cellulare. Ma era anche necessario legare tutti i recitativi che spesso sono considerati solo dei passaggi in attesa dell’aria successiva: si crea un andamento anche narrativo".
Chi è Giulio Cesare? "Un predestinato, un mito, colui che ‘venne, vide e vinse’ ma che ha vissuto come uomo, fra gli altri. Ho voluto mostrarlo fin dal quadro iniziale. Cesare primeggia e si incorona imperatore, ma non avrebbe potuto farlo se nel suo percorso non fosse stato aiutato dagli eventi, dai tempi, dai luoghi e dagli incontri: tutti coloro che lo circondano muovono i massi che alla fine formeranno il suo viso. Dunque il predestinato è riuscito a emergere anche attraverso gli altri per lasciare un’orma indelebile".
Insomma, tutti girano attorno a Cesare... "Quest’opera è come una danza dei caratteri. Tutti i personaggi, ciascuno con il proprio temperamento e un proprio sentimento chiave, sono come satelliti attorno a Cesare".
Ma perché Giulio Cesare attraeva così tanto i compositori barocchi? "Perché Cesare, come Alessandro Magno, era il modello principale per celebrare il monarca. Händel lavorò in Inghilterra alla corte di Giorgio I della dinastia Hannover. Roma, insieme alla Grecia, rappresentava l’ideale delle radici dell’Occidente e in quest’opera la figura di Giulio Cesare incarna il magnanimo, colui che è misurato e civilizzato: l’unico momento in cui ‘sbanda’ è nell’amore per Cleopatra". Che lei ha rappresentato con una ‘citazione’ shakesperiana... "Sì, Cesare, con la testa di asino, è come Bottom di cui si innamora Titania nel ‘Sogno di una notte di mezza estate’. Ho visto un richiamo a Shakespeare anche nella figura di Sesto, figlio di Pompeo, chiamato a vendicare la morte del padre, come un Amleto".
Il suo spettacolo è particolarmente simbolico. Perché? "Il teatro d’opera non può non vivere di simboli: il primo simbolo è il fatto che un interprete debba cantare ed essere accompagnato da un’orchestra, per cui non si può fingere di fare teatro di prosa. Il codice è chiaro, netto, e anche l’orchestra fa parte del carattere dei personaggi: il ‘mio’ Cesare gioca con gli strumenti. La musica guida sempre la mia visione".
Prima di essere regista, lei è attrice. Come si trova a essere... dall’altra parte della scena? "Eh, vedo solo i difetti – ride –. Sono molto meticolosa e attenta che tutto avvenga nel punto e nel momento giusto. Come mi ha insegnato il mio maestro Giorgio Strehler, non basta lanciare un fazzoletto: è necessario anche capire come prenderà aria, come cadrà, dove cadrà e chi lo raccoglierà. Strehler cercava l’armonia che crea quella specie di sospensione che è poi la magia del teatro".
Capita anche a lei? "Sì, a volte durante le prove si cerca un’azione o un gesto che non riesce. Poi, arriva quando magari non te lo aspetti: in quel momento, io stesso rimango come incantata".