"Sanità pubblica, uno sfascio che risale ai primi anni ’90"

Il professor Pellacani critica la sanità modenese, ma Paolo Ballestrazzi della Direzione Regionale Pri sottolinea che il problema deriva da decisioni politiche sbagliate degli anni '90. Le riforme hanno trasformato la sanità in un business, causando disastri. La Regione ha creato una burocrazia eccessiva che penalizza i medici e non affronta i veri problemi. Gli investimenti previsti potrebbero non risolvere la situazione.

"La nota diffusa dal professor Pellacani circa la condizione in cui versa la sanità modenese, assieme ad alcune verità, mostra, a mio avviso, qualche limite di analisi ed una omissione di fondo". Paolo Ballestrazzi (Direzione Regionale Pri) commenta la riflessione dell’ex rettore sulla sanità modenese. "Occorre ribadire, ancora una volta – rimarca Ballestrazzi – che la causa prima dell’attuale dissesto – presente in tutte le regioni italiane e non solo a casa nostra – discende, in primo luogo, dalla sciagurata decisione del tandem Amato-Di Lorenzo, nel ‘92, in piena ’sbornia’ neo-liberista, di trasformare le Usl in aziende, spesso di dimensioni spropositate". Poiché all’interno "la cultura ’aziendale’ era latitante, la sanità è stata trattata come una merce da banco, i pazienti sono diventati utenti – qualche volta addirittura clienti – e, nonostante gli sforzi di Ciampi nel ‘93, il Ssn. ha iniziato a navigare in un mare molto agitato".

Il colpo definitivo "per il naufragio l’ha assestato, sempre Amato dieci anni dopo, con la riforma del Titolo V che ha trasferito le competenze in carico alle Regioni. E questo è un punto che, tra l’altro, dovrebbe far riflettere chi sogna l’autonomia come panacea di tutti i mali. E qui ogni Regione ci ha messo del suo, tanto che abbiamo venti sistemi sanitari che di nazionale non hanno quasi nulla".

La nostra Regione "ad esempio in ossequio al centralismo che la contraddistingue, ha consentito l’instaurarsi di una gabbia burocratica, che attraverso una miriade di protocolli, procedure ed altri adempimenti, ha finito per mortificare il ruolo del medico, tanto da renderlo indesiderabile ai più, sia nelle strutture che sul territorio. Se aggiungiamo l’inevitabile contrazione delle risorse disponibili il naufragio è assicurato". Anche perché la Regione, "come sottolineato dal professor Caltabellotta della Fondazione Gimbe, da quest’orecchio non ci sente. Invece di affrontare in modo serio il problema complesso della riforma gestionale e di una efficace integrazione fra strutture di cura e territorio, preferisce inventarsi nuove entità operative, nuove figure professionali e magari – nonostante la decisa bocciatura della Corte – più fantasiosi meccanismi retributivi. E per queste ragioni che siamo persuasi che i trenta milioni che la regione intende impegnare per aumentare il numero delle visite specialistiche, da soli non basteranno, perché non migliorerà affatto la qualità del servizio ma finiranno per sovraccaricare ulteriormente tutto il sistema".