"A Filetto il Comune doveva vigilare Ingiustificata l’assenza di controllo"

Il Consiglio di Stato mette la parola fine al braccio di ferro amministrativo innescatosi attorno al progetto. Tutto era nato nel 2003 nel solco dell’housing sociale ma si era via via arenato a causa di problemi vari

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Il Comune, che aveva il "ruolo di promotore dell’iniziativa", doveva vigilare sul progetto anche senza "contratto o incarico formale". Sintesi semplice ma efficace: il consiglio di Stato, con sentenza appena pubblicata, ha messo la parola fine al braccio di ferro amministrativo innescatosi sull’avventura degli auto-costruttori di Filetto respingendo il ricorso di Palazzo Merlato e condannando l’ente locale a pagare 3.000 euro di spese di giudizio (sono state compensate invece quelli nei confronti di Alisei ong).

La intricata vicenda si inserisce nel solco del cosiddetto housing sociale, ammirevole formula che consente di ampliare l’offerta degli alloggi anche a quelle persone che si trovino economicamente a metà del guado: hanno cioè un reddito troppo alto per accedere all’edilizia residenziale pubblica ma troppo basso per sostenere i costi del libero mercato. Ed eccoci approdati a Filetto, ridente località del ravennate ove l’iniziativa di edilizia di auto-costruzione totale promossa dal Comune, risale al lontano 2003. Il progetto consisteva nel lavoro diretto dei 14 soci futuri assegnatari delle 14 villette a schiera per prezzi inferiori del 40-50% a quelli di mercato. Fantastica idea via via arenatasi tra controversie, ritardi, bracci di ferro e persino il fallimento di una ditta dichiarato nel 2010.

Ma a chi spettava il compito di vigilare? Già il Tar di Bologna, con sentenza del 18 marzo 2021, aveva individuato nel Comune il soggetto competente a tenere gli occhi aperti su quegli alloggi. In particolare i giudici bolognesi, accogliendo parzialmente la domanda di risarcimento del danno a favore della cooperativa Mani Unite, avevano sì riconosciuto, come sosteneva Palazzo Merlato, che nella concessione del contratto non era "stato inserito alcun vincolo specifico". Ma avevano pure sottolineato che gli auto-costruttori "sono soggetti privi di competenze specifiche chiamati a fornire attività di bassa manovalanza". Come dire che è "indispensabile una regia tecnica" in grado di "assicurare esperienza e professionalità". Serviva insomma una supervisione quale "elemento essenziale a garanzia del buon fine dell’operazione". E il Comune, "quale soggetto pubblico con il ruolo di promotore dell’iniziativa", non poteva "ritenersi estraneo ai compiti di vigilanza e controllo".

Un linea di ragionamento sposata in pieno anche dal consiglio di Stato "alla luce dei principi di correttezza e buona fede". In particolare "nonostante la situazione di inerzia dei lavori fosse conclamata già dal 2010", il Comune di Ravenna "non è intervenuto attivamente nella supervisione dei lavori e nella verifica della corretta gestione finanziaria dell’intera operazione, come avrebbe dovuto fare".

Un atteggiamento che i giudici romani hanno definito di "assenza in una logica di supervisione spettante all’ente pubblico", almeno nel momento in cui "è risultato conclamato che l’operazione di housing sociale non riusciva ad andare a buon segno". E che hanno bollato come "ingiustificato".

Andrea Colombari