CARLO RAGGI
Cronaca

Leandri, una vita su più fronti: "Mi chiamavano tagliatore di teste. Ma così salvai la Granarolo"

Prima l’impegno politico nel difficile contesto degli anni di piombo, poi quello dirigenziale iniziato in Cmc e culminato nel colosso alimentare. Dopo il Covid è diventato scrittore di libri gialli .

Leandri, una vita su più fronti: "Mi chiamavano tagliatore di teste. Ma così salvai la Granarolo"

Leandri, una vita su più fronti: "Mi chiamavano tagliatore di teste. Ma così salvai la Granarolo"

Gli ultimi lampi della guerra in Vietnam, il colpo di Stato in Cile, poi lo stragismo neofascista, le Brigate rosse, il sequestro e l’uccisione di Moro, ma anche le conquiste civili come la legge sul divorzio: un contesto, questo degli anni 70, in cui si mosse l’impegno politico di molti ragazzi, i cortei, le assemblee del Movimento studentesco, per molti la conseguente adesione alla Fgci e infine al Pci. Così fu anche per Claudio Leandri, che in gioventù sperimentò anche il giornalismo, per il quale però il futuro riservava un campo d’azione del tutto diverso, ovvero quello del direttore del personale di grosse società, a cominciare dalla Cmc e della Granarolo, un ruolo che se più volte l’ha costretto a subire l’appellativo di "tagliatore di teste", dall’altra lui ha sempre esercitato cercando di mettere a frutto al meglio l’altra funzione, quella delle assunzioni e della fidelizzazione dei dipendenti. Poi il terzo step, una volta in pensione: scrittore di gialli, tre quelli pubblicati, altri in arrivo e riconoscimenti importanti in giro per l’Italia.

Una vita su tre fronti…

"Che non si sono mai sovrapposti, ho cessato l’impegno politico una volta assunto in Cmc e solo quando sono andato in pensione ho cominciato a scrivere gialli nonostante a me piacesse scrivere fin da quando ero ragazzo, tanto che nei primi anni 80 ho scritto per l’Unità e il Nuovo Ravennate e mi sono iscritto all’Ordine dei giornalisti".

Cominciamo dall’impegno politico…

"Fu nel 1973, dopo il colpo di stato in Cile e l’uccisione del presidente Allende. Ero al Liceo scientifico, avevo 16 anni e già avevo respirato l’aria del Movimento Studentesco, con le assemblee, i cortei per il Vietnam dove solo in quell’anno si arrivò alla pace. Fu la scoperta della politica e mi iscrissi alla Fgci, eravamo un gruppo di ragazzi impegnati nell’ala Movimentista, tanto per citarne qualcuno… Guido Ceroni, Fabrizio Matteucci, Vasco Errani. E tenga presente che la mia famiglia per tradizione era comunista…".

Mi dica dei suoi genitori, della sua infanzia…

"Il babbo, Aureliano ma conosciuto come Jader, era originario di Castiglione ed era dipendente della Centrale del latte che fino ai primi anni 60 era in pieno centro, in via Marco Dente, poi nel ‘63 fu aperto lo stabilimento di via Vicoli e noi andammo ad abitare là perché il babbo era anche custode. La mamma, Ivana Montanari, era originaria del Borgo San Rocco, quasi un paese autonomo. Ho frequentato le elementari in via Portoncino, poi la 5a alla Pavirani e le medie, la Matteucci, all’isola san Giovanni".

L’arrivo alle Superiori coincise con un decennio denso di fatti drammatici ma anche di conquiste civili…

"Le stragi, come piazza della Loggia di cui abbiamo appena commemorato il cinquantenario, poi l’Italicus, il terrorismo brigatista, il rapimento e l’uccisione di Moro per concludersi con la strage di Bologna, ma fu un decennio anche di grande esperienza politica, il divorzio, il compromesso storico, gli anni di Berlinguer…un’esperienza che non poteva non maturare noi giovani impegnati e io lo vissi sia come interno al Pci sia come giornalista".

Nel senso?

"Nel ‘78 dopo il diploma mi iscrissi a Scienze politiche e contemporaneamente entrai nel partito, c’erano Dragoni, Sintini, Angelini, e cominciai a scrivere per l’Unità e il Nuovo Ravennate. Per il partito, fra le tante cose, sono stato distaccato sei mesi a Faenza per preparare le elezioni scolastiche e per la Cgil mi sono interessato dell’occupazione giovanile, soprattutto i progetti per le ragazze, all’epoca si tendeva aprire loro fronti lavorativi forse non proprio adeguati, tipo muratori e portuali, facevamo assemblee… Guido Tampieri illustrava i progetti".

Quante ragazze accolsero le nuove offerte?

"Poche e comunque alcune di loro le ho ritrovate quando arrivai alla Cmc! Non era il tipo di lavoro a spaventarle, ma la necessità di lavorare in cantieri lontani da casa…".

Impegno politico e lavoro, e l’università?

"Laureato nel 1982 con una tesi sul terziario avanzato, un lavoro importante, mi confrontai con oltre settanta aziende! Poi il servizio militare e nel 1985 l’assunzione in Cmc all’ufficio pianificazione e il contestuale stop all’attività politica e giornalistica. Poi passai all’ufficio studi e marketing, si cominciava a parlare di project financing mentre la Cmc si stava estendendo all’estero, dopo il Mozambico, l’ Iran, l’Algeria, il cambio del dollaro era favorevole, ma la prima crisi era in agguato!"

Da una parte lo stop al mattone, dall’altra la guerra Iran-Iraq, i mancati pagamenti dei lavori…

"Proprio così e quando nel giro di alcuni anni la situazione sembrava essere superata ecco la seconda crisi a seguito di Tangentopoli, anche la Cmc ne fu vittima!"

Lei che ruolo aveva?

"Direttore del personale, fu Massimo Matteucci, una volta eletto presidente, a volermi vicino, nel ‘96. E toccò a me gestire prima la cassa integrazione e poi la mobilità del personale, gli amministrativi. I muratori, gli operai non vennero praticamente coinvolti. Fortunatamente riuscimmo a evitare la situazione fallimentare, pensi che si andava a lavorare anche nei giorni di solidarietà! Ricordo persone stupende, come Sintini, Dradi e tanti altri. C’era un grande attaccamento fra maestranze e impresa".

Quanto è rimasto in Cmc?

"Tredici anni, poi cercai nuovi fronti, nuovi stimoli, nuove esperienze e così entrai in Meta, le ex municipalizzate di Modena, come direttore del personale; all’epoca Modena era il top dello sviluppo in regione. Ci sono rimasto quattro anni e poi ho salutato tutti perché non sopportavo le imposizioni politiche nella gestione aziendale".

Fu allora che entrò nella Granarolo…

"Era il 2002, ruolo di responsabile delle risorse umane come si chiamò la gestione del personale. E’ stata un’esperienza entusiasmante, ho scoperto il mondo alimentare in un periodo in cui l’azienda diventò leader in Italia del latte fresco. Un’azienda che fece molte acquisizioni, fra cui Yomo che era finita in mani poco esperte e stava perdendo un sacco. Fu necessario dimezzare il personale, da 800 a 400, il prefetto mi criticò, sui giornali diventai il "tagliatore di teste". Ma ho la coscienza tranquilla perché così facendo si sono salvati l’azienda e ben più di mille lavoratori".

Quando ha chiuso con l’attività professionale?

"Sostanzialmente nel 2018, poi col Covid è scattata la molla della scrittura. E’ ritornata, meglio dire visto i trascorsi giornalistici…oltretutto a me è sempre piaciuto scrivere e leggere, una mia zia, Alda Casadio, aveva un’edicola in via Corrado Ricci e io avevo la casa piena di fumetti ed enciclopedie. Era stata la maestra Maria Rosa Camerani a stimolarmi…".

Quanto ha scritto?

"I romanzi pubblicati sono tre ‘Il cinghiale bianco’, ‘La virtù del bradipo’ e ‘Radici’, con un piccolo editore siciliano, ‘Nulla die’; un quarto, vincitore al Premio Città di Como, è in uscita a settembre e poi ce ne sono altri pronti. Più che gialli si tratta di thriller e tutti hanno ricevuto riconoscimenti. Come esordio non c’è male…no?"