VALENTINA REGGIANI
Cronaca

Morto suicida in carcere: "Mio figlio deceduto in cella, i nostri appelli inascoltati"

Parla Michele Romagnoli, autista del 118 a Ravenna, padre di Fabio: "Era fragile ma nessuno è intervenuto. Chiedo che non capiti ad altri" .

Parla Michele Romagnoli, autista del 118 a Ravenna, padre di Fabio: "Era fragile ma nessuno è intervenuto. Chiedo che non capiti ad altri" .

Parla Michele Romagnoli, autista del 118 a Ravenna, padre di Fabio: "Era fragile ma nessuno è intervenuto. Chiedo che non capiti ad altri" .

"I detenuti ma anche i loro parenti vanno ascoltati. Non sono numeri ma persone. Cosa chiedo oggi? Che non capiti più a nessuno quello che è successo a mio figlio". L’appello parte da Michele Romagnoli, residente a Ferrara, Portomaggiore e autista nella centrale operativa del 118 a Ravenna. Si tratta del papà di Fabio Romagnoli, il detenuto 40enne morto in carcere a Modena il 20 febbraio 2023 dopo aver inalato gas da un fornellino. Il pm Francesca Graziano, al termine delle indagini, ha chiesto l’archiviazione del fascicolo per omicidio colposo, rimasto a carico di ignoti. Il legale della famiglia, l’avvocato Luca Sebastiani ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione poiché – ha spiegato la famiglia – il 40enne aveva tentato il suicidio altre volte.

Fabio era finito in carcere per stalking ma mostrava segni di depressione da tempo? "Mio figlio era fragile. Aveva avuto una relazione con una ragazza modenese che, al termine del rapporto, lo aveva denunciato. Poi era andato a convivere con una ragazza a Ferrara e anche in questo caso era scattata una denuncia. Mio figlio lavorava come cuoco al mare, era bravissimo. Era però finito a seguito delle denunce ai domiciliari e una sera ha fatto l’errore gravissimo di bere. È uscito di casa e ha tamponato un’auto: dietro c’era una pattuglia della polizia ed è finito in carcere. Quattro mesi dopo, il 20 febbraio di due anni fa, si è suicidato. Non stava bene: era un ragazzo che giocava a calcio, che usciva con gli amici e in carcere da 70 chili era arrivano a pesarne 50. Ne parlai con l’avvocato che mandò una pec per spiegare la situazione ma nessuno ci fece caso".

Avete parlato di altri tentativi di suicidio... "Aveva già provato col gas; lui mentì dicendo che c’era stata una fuoriuscita e gli hanno ridato la bomboletta. L’ultimo giovedì in cui gli ho fatto visita mi ha detto di stare tranquillo: avevamo fatto tanti progetti; era un bravo lavoratore e da una pietra ti tirava fuori un lingotto. Faceva i capannoni prima e ancora prima realizzava insegne luminose, poi il meccanico e ha fatto anche il giardiniere; le irrigazioni. In carcere è crollato".

Avete fatto causa dopo il suo decesso... "È mancato il controllo di questo ragazzo. Non c’è stato. Noi ogni settimana eravamo da lui; non siamo mai mancati una volta. Avrebbe avuto il processo poco dopo, a inizio marzo. Lui manifestava già questa depressione, era in cura a causa di questa patologia e noi lo manifestavamo alle guardie ma se ne fregavano tutti. All’ultimo processo a Ferrara non si reggeva in piedi; non aveva più muscoli nelle gambe: ci hanno risposto che avevano bravi medici. Io lavoro al 118 e non lo metto in dubbio ma aveva bisogno di altro: avrei pagato io se era questo il problema. Ma non hanno mai fatto niente. Ha continuato ad andare giù fino a che non si è ucciso. Non gliela dovevano dare quella maledetta bomboletta del gas in mano. Ha sempre avuto quei problemi; a Portomaggiore ogni tanto andava dallo psicologo".

Cosa chiede oggi? "Che non capitino più queste cose. Devono essere più controllati questi ragazzi: non sono criminali: hanno bisogno di aiuto e la galera non è il loro posto e sicuramente non risolve il problema. Stalking? Per l’amor di Dio, ci sono tanti femminicidi ma le situazioni vanno messe sulla bilancia. Serve più riguardo e non arroganza: le persone, i parenti, i detenuti vanno ascoltati".