Racket dei funerali Ravenna, "Sapevano di essere indagati ma insistevano"

L’inchiesta rivela che tecnici di obitorio e impresari funebri si erano spaventati dopo l’esposto, per poi ricominciare

Ravenna, 7 novembre 2022 - Ad un certo punto l’avevano saputo di essere indagati. Così, per un periodo, avevano alzato il piede dall’acceleratore. Una tregua tutto sommato breve, finita la quale avrebbero ripreso a lucrare sui funerali, attraverso quell’insana alleanza tra sei operatori di obitorio – dipendenti Ausl – e ben 17 impresari funebri di Faenza e Lugo, ritenuta seriale e non occasionale, che agli occhi della Procura di Ravenna ha assunto le forme di un’associazione per delinquere, finalizzata alla corruzione, peculato, truffa ai danni dello Stato, falso ideologico e falsa attestazione a pubblico ufficiale. Il ruolo di leader, emerge dall’ordinanza del Gip Andrea Galanti, era stato assunto dal capo dell’obitorio di Faenza, il 64enne Riccardo Pirazzini (il solo finito in carcere su 37 indagati, di cui 16 con misura cautelare).

I carabinieri negli obitori di Lugo e Faenza mentre notificano le misure cautelari (Zani)
I carabinieri negli obitori di Lugo e Faenza mentre notificano le misure cautelari (Zani)

Vittime dell’organizzazione e perciò fortemente ostracizzate, come già emerso, erano due imprese funebri ribelli, la Zama di Faenza e la municipalizzata Aser. Era stato il titolare della Zama, Ivano Ghirardelli, a indagare per conto proprio tramite un’agenzia privata. Sentito a dicembre 2020 dai carabinieri del Nucleo investigativo, l’imprenditore aveva riferito che questi episodi di sospetta corruttela tra incaricati di servizio pubblico e altri impresari funebri erano proseguiti almeno fino a luglio 2020, ossia alla notizia di una proroga delle indagini già avviate a seguito del suo esposto. Sapendo di essere nell’occhio del ciclone, gli operatori di obitorio avevano posto un freno alla loro attività di vestizione e tanatocosmesi delle salme, che da un regolamento del 2018 è compito esclusivo delle imprese funebri, e per farsi vedere scrupolosi e integerrimi avevano inaugurato un comportamento di grande rigore nella gestione dell’obitorio.

Il primo a essersi spaventato, sapendo di essere indagato, sarebbe stato proprio il Pirazzini, il quale a Ghirardelli avrebbe spiegato di aver cambiato rotta, di voler passare a una gestione rigorosa e che in occasione di una verifica nei locali dell’obitorio erano state trovate alcune microspie.

Questo ravvedimento, tuttavia, sarebbe durato ben poco e nel giro di poche settimane – sostengono gli investigatori – era ripreso ’l’andazzo’ di favore verso le imprese amiche e l’ostruzionismo verso le altre due. Tanto che gli obitori per le imprese ribelli Zama e Aser sarebbero diventati quasi inaccessibili, e quando erano impegnati da personale di altre imprese funebri i loro dipendenti neppure potevano accedervi.

Il Pirazzini avrebbe così ripreso nei "consueti comportamenti", vale a dire sostare fuori dalla camera mortuaria, ad esempio al mattino presto, fuori servizio e in borghese, cosa ritenuta segno evidente della sua presenza per praticare le vestizioni in luogo dell’impresa funebre a cui erano affidate. Ed era ripreso l’astio anche degli altri tecnici di obitorio verso il Ghirardelli, ritenuto la ’spia’ che aveva scompaginato i loro piani. Il 2 agosto 2020 Pirazzini, con una lettera al direttore sanitario Davide Tellarini, avrebbe persino cercato di far ricadere le colpe su un ignaro sacerdote, reo a suo dire di essersi adoperato per convincere i familiari di un defunto ad affidarsi alla ditta funebre Zama. Il giorno seguente Pirazzini aveva incontrato lo stesso dirigente Ausl, riferendogli di essere indagato. Un episodio che, nella lettura degli inquirenti, proverebbe il tentativo del tecnico di obitorio di intossicare il quadro probatorio, incolpando una terza persona estranea ai fatti.