"Tutto è partito dalla curiosità su mio nonno"

Alessandro Averna Chinnici, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Faenza, si racconta alla classe 3^ D della scuola ‘Europa’

"Tutto è partito dalla curiosità su mio nonno"

"Tutto è partito dalla curiosità su mio nonno"

Il 7 febbraio Alessandro Averna Chinnici ha incontrato la classe 3^ D della scuola media ‘Europa’ di Faenza.

Stiamo prendendo decisioni importanti per il nostro futuro, ci può raccontare come si sentiva lei alla nostra età?

"Alla vostra età non avevo ancora idea di cosa fare nella vita: ho scelto il liceo classico perché ero portato per le materie umanistiche e non avevo un buon rapporto con la matematica. Solo in quinta superiore ho cominciato a sentire l’urgenza di rendermi utile alla società, di non voler essere un numero in mezzo ad altri. A guidarmi e sostenermi è stata soprattutto la curiosità: una dote imprescindibile per ogni carabiniere, che mi ha portato ad approfondire quanto successo a mio nonno".

Quali sono state le esperienze e le decisioni che l’hanno portata a essere quello che è oggi?

"Già alla vostra età non mi rassegnavo al fatto che a Palermo ci fossero così tante ingiustizie tollerate: troppi luoghi erano legati a fatti di sangue, i commercianti erano spesso nelle condizioni di sottrarre alle famiglie il necessario per poter pagare il pizzo. Non volevo rassegnarmi a tutto ciò. Mi colpiva inoltre che quando morì mio nonno, oltre al portiere dello stabile, persero la vita con lui anche i carabinieri della scorta: questo mi ha spinto a entrare nell’Arma".

Quanto è difficile avere un ruolo così importante a un’età così giovane?

"È vero, esternamente può sembrare che queste responsabilità siano fonte di stress, ma la realtà è che provo un profondo orgoglio e grandi soddisfazioni. È una bella responsabilità perché tutti i miei militari prima di agire chiedono consiglio a me e io devo fare di tutto perché possano lavorare al meglio, l’uniforme, con le sue spalle imbottite, ha un peso anche simbolico: dopo alcune giornate particolarmente lunghe e difficili si prova una grande soddisfazione sapendo di essere riusciti ad aggiungere anche un piccolo tassello al benessere della nostra società".

Ha mai sentito il peso del suo cognome?

"Senza dubbio alcuni aspetti della mia vita ne sono stati condizionati: sono cresciuto in una famiglia con standard molto alti e, a causa delle minacce ricevute, venivo scortato persino alla scuola dell’infanzia. Per me, però, aggiungere il cognome Chinnici a quello paterno è stata una scelta. Nella quotidianità preferisco identificarmi con il cognome Averna, prima di tutto perché voglio essere rispettato per quello che sono e non per le mie origini familiari, poi perché mi dispiace quando capita che qualcuno non conosca la figura di Rocco Chinnici".

Potrebbe presentarci la figura di Rocco Chinnici da un punto di vista pubblico, ma anche familiare?

"Rocco Chinnici pubblico era un magistrato, creatore del pool antimafia, vittima della mafia stessa, per questo non l’ho mai conosciuto. Come si legge nel libro scritto da mia madre, in pubblico mio nonno era una persona dal fisico imponente e dall’immagine rigida e severa, ma sapeva essere con tutti, soprattutto con le persone care, un uomo estremamente dolce e premuroso: ogni mattina si svegliava presto e portava la colazione a mia madre Caterina, la sua prima figlia, svegliandola con un bacio sulla fronte".

Lei non ha un ruolo impegnato direttamente contro la mafia, ma in qualche modo sente di fare la sua parte nell’Arma per combattere questo nemico?

"Non prendo questa battaglia come una sfida personale, perché i mafiosi hanno sempre perso e continueranno a farlo. Inoltre penso che da ufficiale dei Carabinieri anche i problemi più piccoli di ogni cittadino debbano essere importanti per me. Durante l’alluvione feci evacuare due persone, marito e moglie e chiesi loro: “Avete preso tutte le cose importanti?”. La signora rispose che il loro gatto era rimasto in casa, così mi feci dare le chiavi di casa e corsi a recuperarlo a nuoto. La felicità nei loro volti è quello che mi rende felice e orgoglioso di essere (e non semplicemente “fare”) il carabiniere".

Classe 3^ D

Scuola media ‘Europa’

di Faenza

Prof.ssa Barbara Santolini